Sessantasette pagine da centellinare, suddivise in venti racconti che fin dalle prime righe attirano come una calamita. Si percepisce da subito venire avanti la vita con la sua forza e la sua fragilità nel libro della danzaterapeuta e coreografa Ines Rita Domenichini intitolato “Un giorno felice” (editore Scatole Parlanti). Verrà presentato venerdì 15 dicembre alle 20,45 nella sala lettura della biblioteca comunale, durante un incontro organizzato dall’amministrazione comunale. E’ una storia di anime, quelle di una madre e di una figlia, unite da una solitudine, che non è desolazione, ma una continua fatica, alla fine rigenerante, perché la vita possa manifestarsi nella sua pienezza. Significativa la presenza di persone che animeranno la serata tra cui Luca Roffredi con il quale l’autrice dialogherà, le attrici Annamaria Rizzato, Antonella Tranquilli, la violinista Morena Colli e la professoressa Francesca Rovera, direttrice del Centro di Ricerche di senologia dell’Università dell’Insubria e responsabile Breast Unit ASST Sette Laghi. Si potrebbe, dunque, pensare che sia un libro sul cancro. C’è anche quello, ma non è assolutamente il protagonista. E’ la storia di una vita ordinaria -quella della madre- che diventa straordinaria, grazie alla grande forza istintuale, che nei momenti drammatici trova soluzioni, eredità della nonna dell’autrice che “cercava di rendere normale l’impossibile”. La scrittura è felice: ogni racconto offre momenti di grande intensità. Sembra di vedere la mamma che cuce davanti alla macchina e ogni piccolo gesto cuciva le sue ferite e teneva assieme la sua anima. “Cucire per te -scrive- era ogni volta la prova che si poteva rinascere interi, che si poteva unire quello che era stato abbandonato”. E poi la danza, della mamma e della figlia che scrive di sé: “Danzare è il mio cielo. E’ come farsi condurre da una madre affettuosa con una immensa fiducia in quello che il corpo potrà fare”. C’è bisogno di rileggerle le frasi che riguardano il cancro: mozzano il fiato, ma insegnano la forza. Le più intense vengono riportate integralmente: “Accarezzo questa ferita che ho sul seno, è come un tratto di cerchio spezzato, i tessuti sottostanti hanno ceduto, si è formato un avvallamento e grida “vivi ora, non aspettare più, non fermarti”. La ferita ha un nome, scritto su una cartella clinica, e il dolore non ha nome però si può chiamare paura, angoscia, solitudine, perdita, abbandono, vuoto. Mi costringe a stare vicina a me stessa, nella parte più profonda di me. Chiede solo di essere ascoltato. Vuole che disegni un cerchio su quella ferita, che unisca quel tratto al senso dell’esistere”.
Federica Lucchini