Per quarant’anni tutti i giorni ha frequentato il laboratorio di Gualberto Niemen, il burattinaio deceduto nel 2003 a 95 anni, che ha perpetuato un’arte antica nelle nostre piazze, in quelle del Piemonte e della Lombardia e, oltre ad avere consensi dal pubblico, ha affascinato diversi allievi. Lui, Fernando Della Chiesa, 76 anni, di professione pellettiere, è stato uno di questi: quella lunga esperienza a contatto del maestro è testimoniata dalla presenza di ben 130 burattini, di cui buona parte è costituita solo dalle loro teste, raccolti in uno spazio di casa sua e conservati come reliquie. Il loro era una rapporto costituito da una sapienza trasmessa non attraverso le parole, ma con gesti che assumevano il valore di riti. “Il Berto non parlava, mentre era immerso nella creazione di un burattino -ricorda- Si muoveva solo con una grande agilità e seguiva il filo dei suoi pensieri. Io lo osservavo “avidamente”: fin da quando avevo vent’anni, grazie alla sua presenza a Biandronno, ero attirato dal suo mondo, fatto non solo di burattini, ma anche di fondali e di storie, scritte nei suoi copioni con una bella grafia. Lui si lasciava guardare, bastava non disturbarlo. E piano piano ho acquisito la sua arte. Certo, ho apportato delle varianti: ad esempio lui usava come legno il tiglio per le sue creature, io ho scelto l’olmo, più resistente. Così, se mi sfugge di mano un burattino a guanto (li preferisco rispetto a quelli a bastone), non si rompe il naso, come capita con altri legni”. Nel suo laboratorio trovavano posto una quantità di sgorbie, seghetti, accanto ai colori per dipingere i visi e le scenografie. “Mi divertivo un mondo in baracca -spiega- sentivo la gente che rideva alle mie battute e allora io mettevo ancora più energia nel cambiare le voci e nel recitare, sempre a braccio. Sì, erano pesanti i burattini, ma non ricordo di aver fatto fatica a sorreggerli. Provavo una tale passione nei confronti di questa arte che non vi trovavo nessuna difficoltà. Per quindici anni, ho allestito rappresentazioni e sono giunto fino a Piacenza con i miei Gianduja, Brighella, Testafina. A loro ho aggiunto anche i personaggi dei Legnanesi”. C’è da perdersi nell’osservare tutti quei visi disposti in bell’ordine su mensole lungo una parete: con loro si possono raccontare mille storie. Strada che lui ha percorso con entusiasmo. Le capigliature sono particolari, una diversa dall’altra: ci sono espressioni accigliate, stupite, spaventate. Un mondo di stati d’animo. Poi ci sono i burattini completi con tanto di costume e di mani. “Scolpisco anche queste. Non vi trovo nulla di particolare”. Nella collezione fa bella mostra di sé un coccodrillo. “Sono affezionato anche alle mie marionette -lo dice con orgoglio- Richiedono un altro genere di lavorazione rispetto ai burattini, più complessa per quanto attiene gli arti. Sono elaborate. All’occorrenza tirano fuori la lingua. Con un gioco di fili sono riuscito a dare origine a movimenti particolari del viso”. Nel legno e con i colori, grazie alla sua creatività e nel solco di un ottimo maestro, Fernando ha costruito una esperienza che ha portato gioia a lui stesso e agli altri.
Federica Lucchini