Ora è ufficiale: i restauri all’interno della chiesa di santo Stefano, che hanno svelato affreschi di particolare bellezza, termineranno a settembre, mentre i lavori che riguarderanno la facciata a fine ottobre/novembre. Durante la serata, organizzata dalla parrocchia in oratorio per illustrare l’attività svolta dal direttore dei lavori, architetto Massimo Brambilla, e dal team, coordinato dal restauratore Gian Maria Manvati, formato da otto assistenti, i tanti presenti hanno avuto la consapevolezza che la chiesa verrà loro consegnata nel modo migliore facendo convivere il passato, di cui gli operatori hanno avuto estremo rispetto, e il moderno con la presenza di un bagno costruito ad hoc, posizionato nell’ex locale della caldaia, e di due locali messi a nuovo, adiacenti l’organo. Dietro a tutte queste figure che hanno lavorato al meglio, sotto l’egida della Soprintendenza, e con la presenza costante e collaborativa del parroco, don Marco Longoni, che ha contribuito in modo determinante alla ricostruzione della storia dell’edificio, ce n’è una presente nella memoria e fautrice di questa operazione radicale: quella di Giorgio Roncari, scomparso nel maggio di due anni fa a 73 anni. Come ha spiegato il sacerdote, aveva affidato ad una società svizzera, con lascito testamentario, una cifra consistente finalizzata all’intervento. Quindi è grazie a lui che i fedeli potranno godere di una chiesa, al cui interno, dopo scelte oculate degli operatori, appariranno le diverse epoche vissute dall’edificio. A iniziare da una particolarità: una piccola chiesa, rappresentata dal battistero, posta nella chiesa più grande. “Uno scrigno per capire come si pregava un tempo -ha sottolineato Brambilla- Vi consiglio di ammirarlo in particolare quando le chiesa è silenziosa. Avrete la dimensione della fede di un tempo”. Era un pittore di buona scuola che conosceva l’anatomia e la prospettiva, l’artista che ha realizzato con pigmenti naturali minerali la scenografia legata alla struttura stessa, la figura della Madonna con il Bambino, circondata da angeli, e la schiera angelica nell’incavo rettangolare della volta. Tutte immagini che invitavano alla preghiera in questo piccolo spazio nato come cappella, prima dell’ampliamento della chiesa, risalente al 1762, che l’ha inglobato. Posto sulla strada che conduceva a Gavirate, invitava alla preghiera i passanti. Fungeva anche da ossario, considerato il ritrovamento di un “memento mori” che così recita: “Il tutto sprezza chi alla morte vivo pensa”. La presenza di un voltino in mattoni sotto la finestra attuale conduce a pensare a un livello più basso almeno di un metro del pavimento attuale. Hanno lavorato in punta di bisturi i restauratori anche nel fare emergere la figura di una santa di difficile identificazione, ma risalente all’epoca rinascimentale: immagine di pregio, realizzata a lato dell’altare. Dopo aver risanato i dissesti importanti dell’edificio, causati dall’abbattimento della casa parrocchiale, avvenuto decenni fa, il lavoro è stato completo e complesso anche per quanto attiene le pareti che hanno raccontato tantissimo delle loro statificazioni, avvenute anche con materiale non sempre congruo. Attualmente stanno emergendo alcuni ritrovamenti nella controfacciata, ma non di grande pregio. Quando la chiesa verrà riaperta al culto, i fedeli troveranno le pareti dipinte con la terra d’ombra bruciata, come dal restauro degli anni Trenta. Da ultimo don Marco ha invitato i fedeli comunque a contribuire, anche in vista del restauro dell’organo.
Federica Lucchini