Si percorre tutta la via Matteotti fino in fondo e al n. 66, in mezzo a tante casette e tanto verde, non ci si aspetterebbe mai di entrare nel laboratorio della pipaia artigiana, considerata la prima al mondo per la sua bravura. “Siamo solo due donne al mondo che abbiamo raggiunto questo primato -spiega Vilma Armellini- L’altra è una danese che ho conosciuto ad un convegno di Pesaro. Originale, creativa”. Senz’altro quanto lei, che nel suo laboratorio delle meraviglie crea pezzi unici, apprezzati dai collezionisti di tutto il mondo. “E’ nata tra pianti e desideri di creare pipe al pari di quelle di mio papà Mauro questa mia passione. Alla sua morte mi sono sentita persa, poi la scintilla -spiega- Attraverso queste creazioni sono diventata consapevole di perpetuare la sua memoria. “Come si fa a descrivere una passione? Ti riempie la vita. Le mie pipe escono dal cuore. Sì, c’è la mia produzione classica e poi quella particolare di pezzi che creo quando ho l’ispirazione. Non so il tempo che vi dedico. Vede, questo è un pezzo di radica. Lo guardo. Al momento non mi dice nulla. Poi è sufficiente un’idea, comincio a lavorarci attorno con il disegno e via! Non so dove arriverò, perché non mi prefiggo un traguardo, mi lascio condurre. Tante volte è la radica stessa che me lo dice, la mia mente”. Mostra una pipa scavata a mano a mo’ di retino. Invendibile. Un intarsio certosino che non è ripetibile. Accanto, mette in evidenza una pipa formata da un corno che le ha regalato un agricoltore. Sono “chicche”. Su una parete c’è una scritta in azzurro, significativa: “Il coraggio, la forza, la passione: mio papà”. E’ uno stimolo nella ricerca dell’unicità. Prima c’è il disegno, poi il taglio, la lavorazione, ma queste fasi sono i tempi della passione, perché nel taglio può emergere l’imprevisto ed è lì che si sviluppa l’inventiva ed emerge l’originalità. Le cosiddette “vere”, quegli anelli che separano il bocchino dal corpo della pipa per Vilma non sono semplici strumenti. Può esserci la classica, ma ce ne possono essere in legno particolari, addirittura possono essere costituite da fossili che lei ha ritrovato. Pezzi simili sono valorizzati anche dai particolari. Vilma guarda le sue creazioni con quegli sguardi che si rivolgono alle preziosità. Certo, sono preziose per la bellezza e per la presenza del suo ispiratore. “In queste mura non mi sento sola!” A riempirle ci pensano gli alunni con le insegnanti che vengono a vederla lavorare con il trapano, al tornio, con la raspa per sgrossare, con la mola per lucidare. Spesso mette nella valigia i suoi tesori e va ai convegni dove è attesa, anche come campionessa di lento fumo. Una particolarità: la sua pipa personale, l’ha abbellita con piccole palline di Swarovski. Un tocco di eleganza per un’artigiana così apprezzata nel mondo.
Federica Lucchini
Tutto è nato dal Fontanone, quella magica acqua alimentata dal Tinella che con la sua energia idraulica aveva dato vita ai mulini. Ed è proprio lì che nel 1897 il milanese Fernando Rossi aveva deciso di traslocare la sua fabbrica in una piccola industria che sorgeva a Barasso. Pochi anni dopo vi lavoravano 120 dipendenti con un orario giornaliero di 10ore per 6 giorni la settimana. Nel 1927 era ritenuta la più grande fabbrica di pipe in Europa “meravigliosa per la grandiosità con la quale si presenta e per la potenza di organizzazione che rivela”, fu scritto si “L’illustrazione Italiana”. Da questa radice si irradiarono diverse ditte nella nostra plaga, alcune importanti come la “Savinelli Pipe”, a Barasso, “La Pipe Brebbia”, corredata da museo. “La Paronelli Pipe” è una realtà conosciuta per il suo museo. Poi tante piccole ditte, Talamona, Rovera, Gasparini, Taglibue, anche a conduzione familiare. Un territorio costellato di questa ricchezza che andò scemando quando cominciò la lotta contro il fumo, riducendosi in modo considerevole.