Anche nell’ultimo tratto di vita ha continuato a mantenere quella signorilità che l’ha contraddistinto per tutta la vita. Lunga e ricca di umanità è stata l’esistenza di Carlo Metelerkamp, che avrebbe compiuto 99 anni fra pochi giorni. Lunedì 5 agosto ore 16 nella chiesa parrocchiale di Barasso si svolgeranno le sue esequie. E’ stato un gentleman, che mai ha tradito l’educazione famigliare contraddistinta dalla figura del padre Hermann, pittore olandese di origini patrizie, e dalla madre, giornalista di origine tedesca, che fin da piccolo gli avevano insegnato il valore della pace. “Avrei avuto l’opportunità di conoscere il nome della spia che favorì la nostra cattura a Comerio il 19 aprile 1945 –così spiegava raccontando la sua esperienza di partigiano del Battaglione Italia legato al partito Liberale- ma non ho voluto saperlo, ritenendo inutile perpetrare quella catena d’odio, memore dell’insegnamento dei miei genitori”. E questo nonostante le torture che subì. La sua vicenda va a completare la storia della lotta partigiana varesina con questo gruppo di giovani, fra cui lui, conosciuto con il nome di Pupo che si erano prefissi di prepararsi per la liberazione, recuperando il maggior numero di armi possibili. “Non uccidemmo mai nessuno”, ricordava. Finché il gruppo Zeta della Brigata Nera “Dante Gervasini” a causa di una soffiata, li bloccò lungo la strada di Comerio. Colpì a morte Emilio Ossola e catturò Pupo. Fu rilasciato dai suoi stessi aguzzini il 24 aprile e l’indomani, giorno della Liberazione, con la sorella Pupa al fianco, sfilò per Varese con la fascia tricolore al braccio che definiva il suo ruolo di capo del Battaglione Italia. “Fu più che altro una liberazione intima -ricordava- Finalmente non esistevano più posti di blocco, finalmente si poteva circolare”. Il 27 maggio successivo alle ore 9,30 nella chiesa parrocchiale di Comerio, gremita, furono celebrate le esequie di Emilio Ossola. Fu Pupo, come amico e comandante, a commemorarlo. Carlo era un cairolino, compagno di scuola di Giovanni Valcavi. Sportivo, ottimo pattinatore e ottimo giocatore di hockey su ghiaccio, fu professionalmente responsabile nell’ambito commerciale di diverse ditte. Sempre grazie ai genitori, imparò cosa fosse l’altruismo: la sua casa del Cugnolo (frazione di Comerio), dopo il 1943, divenne un ottimo rifugio, a rischio della loro pelle, di renitenti alla leva e di partigiani. Per tutta la vita Metelerkamp ha saputo intessere legami profondi, coltivarli e mantenerli. Ecco perché molti gli sono grati.
Federica Lucchini