Aveva fatto a tempo a vedersi in copertina, raffigurato in un’alba dorata del 2016, piegato sul “barchett” mentre stava recuperando le reti, posate la sera prima. Lui, solo sull’acqua, mentre il sole stava sorgendo a Capolago, in un’atmosfera di una tale bellezza da sembrare irreale. Avrebbe letto il libro la sera, al ritorno, perché la pesca non attende, richiede i suoi tempi, e nelle pagine avrebbe ritrovato il luogo, iscritto nel suo Dna, che conosceva nei suoi più profondi palpiti. Invece quel 23 dicembre 2019 Daniele Bossi, il più giovane pescatore della Cooperativa Pescatori del lago di Varese, non è più tornato. In quelle acque ha perso la vita. La copia del libro è ora nella sua casa del Pizzo di Bodio, custodito dalla mamma Rita, dal papà Carlo dal fratello Vittorio, dalla sorella Mariangela. Osservando la copertina con il senno del poi, sembra che Daniele sia immerso nell’infinito. Il libro gliel’aveva consegnato il suo autore, Claudio Prada, commissario di Polizia Provinciale, sezione faunistica dal 1988 al 2016. Con il patrocinio della Provincia, contiene le fotografie, scattate da lui, e testi di diversi autori. E merita di essere conosciuto. Il titolo è intrigante: “Il colore dell’acqua. Il lago di Varese, altri punti di vista”. Assume un significato profondo il fatto che, terminata la sua professione di presidio del “territorio lago”, l’autore abbia voluto lasciare una testimonianza di quella esperienza che gli ha consentito di condividere momenti privilegiati, fissati nell’attimo dello stupore. Il silenzio, l’attenzione, l’immobilità in orari notturni e diurni gli hanno permesso di cogliere particolari che vengono incontro a occhi attenti come i suoi, che ha imparato a conoscere i pescatori e i cacciatori e “a rispettare il loro amore per il lago, che alla fine è diventato anche il mio”, scrive. Sono foto anche documentaristiche, come quelle dei pescatori che posano le fascine per la riproduzione dei persici, quelle del “Carlin dul Pizz”, Carlo Bossi, che solleva l’acqua con gli stivali, mentre va a riva o il Negus, Luigi Giorgetti, che con il viso e una gesto della mano esprime tutta la sua delusione nel sollevare la rete vuota. Ben si addicono gli scritti a cominciare da quello introduttivo del figlio del pescatore, Giancarlo Giorgetti, il cui padre Natale, è stato per lunghi anni presidente della Cooperativa. Fa subito capire il suo punto di vista che non è quello della bellezza, del lago da cartolina, quanto quello di chi si piega a toccare le acque, “che sopporta l’umidità che si respira a pieni polmoni, la mattina, nove mesi su dieci. Un Lago fatto di pescatori e pesci, di canneti, di alghe e vegetazione, di uccelli, non come una piscina”. Il lago non richiede “una mera contemplazione formale”, ma “è un luogo vivo da conoscere, da difendere, con il quale ritrovare un contatto vero e profondo”, interviene Tiziana Zanetti, a nome della sua famiglia di pescatori. Nello stesso solco, lo storico Amerigo Giorgetti: “Oggi non c’è più posto per nostalgiche rievocazioni di un passato forse mai esistito, e nemmeno, credo, per guide illustrate ad uso di turisti per caso: il lago, come oggetto di storia locale, rappresenta il punto di vista microcosmico da cui osservare e comprendere con maggiore chiarezza ciò che sta avvenendo su scala mondiale”. Acuta l’osservazione di Chicco e Betty Colombo: “E’ saggia la gente di lago: ha imparato persino a sopportare il degrado dell’acqua come barriera di protezione contro un turismo di massa che “inquinerebbe” le sue radici”. Al dono che Prada ha voluto offrire come gratitudine alla gente con cui ha vissuto trent’anni di professione, si sono uniti tanti altri autori a sottolineare quanto il lago di Varese sia un luogo da amare nella sua intimità.
Federica Lucchini