BARASSO BUZZONI
– E’ la Ferrara dei Finzi-Contini quella vissuta da Giancarlo Buzzoni, dottore in chimica pura, residente dal 1986 a Barasso. La Ferrara illuminata, colta, la Ferrara segnata dalle persecuzioni ebraiche. Alla parete d’ingresso di casa sua è appeso un dipinto che rappresenta l’ingresso del vecchio cimitero ebraico adiacente il palazzo degli zii materni Levi. Segno di una storia familiare che ha profonde radici nella città. I suoi ricordi infantili sono come flash, incisi profondamente nel suo animo e non possono eludere la figura del federale della città, la signora Rizzo, “come l’abbiamo sempre chiamata in casa”, afferma, molto amica della famiglia Levi. Nella storia dei momenti bui vissuti dagli ebrei italiani dopo l’8 settembre del 1943, ci sono figure luminose che a rischio della vita, hanno compiuto atti di salvataggio. La signora Renata Rizzo, che poi avrebbe perso un figlio, tenente nella campagna di Russia, è stata una di questa: “Ha lasciato prevalere l’amicizia sulla sua passione politica – riprende Giancarlo – La mia famiglia materna, composta da ben sei fratelli – mia mamma Marcella, le zie Elsa, Alda, lo zio Aroldo, Gabriele e Renato – è stata l’unica in tutta Ferrara che non ha subito deportazioni. Quando il federale veniva a conoscenza delle retate che ci sarebbero state a breve, mandava degli autisti in orbace che guidavano le quattro auto dei miei zii. E noi salivamo tutti per raggiungere un convento nei dintorni di Faenza, nei pressi della casa dello zio, marito di Alda, Vittorio Treré, che, nonostante il cognome, non era ebreo, ed aveva un importante ditta di ceramica. Due giorni dopo con la stessa modalità tornavamo a Ferrara dove era rimasto mio padre Mario, non ebreo, medico della condotta di San Giorgio, molto benvoluto. Era stato ufficiale medico durante il primo conflitto mondiale ed era stato colpito dai gas, causa, assieme alle sigarette, della sua morte prematura. Io di quei viaggi ricordo il fascino di essere su auto spaziose, non avevo l’età per poter capire la drammaticità del momento”.
Drammaticità, invece, di cui fu pienamente consapevole la mattina del 16 novembre 1943. Il viso cambia espressione quando ricorda un evento troppo grande per un bimbo di nove anni: “Ho svoltato l’angolo che da adolescenti avremmo chiamato delle quattro esse, alludendo al fatto che eravamo studenti sempre senza soldi, e sono sbucato davanti al muretto del Castello, contro cui, durante la notte, erano stati fucilati per rappresaglia, in seguito all’omicidio del federale Igino Ghisellini, ben 11 tra antifascisti ed ebrei. Era stato il primo eccidio di guerra e fu ben rappresentato in seguito dal regista Florestano Vancini, amico di mio fratello Bruno, nel film “La lunga notte del ’43”. Gli occhi gli si sgranano, fissano un punto e non riesce a descrivere la scena. “Sono corso a casa traumatizzato. Fra loro avevo riconosciuto Mario Zanatta, il padre di un mio compagno di scuola”. L’apprensione della guerra Giancarlo l’ha vissuta alla vista dei tedeschi “che erano da tutte le parti”. Cambia ancora espressione quando rivive i bombardamenti “che non dimenticherò mai più: li sentivo cinque minuti prima che avvenissero. Ho visto le bombe cadere. Erano terrificanti, come quella che a Fossanova San Marco dove ero sfollato con la famiglia colpì la miaa camera”. Ma il caso volle che quella sera lui e il fratello dormissero da un’altra parte.
Federica Lucchini
SANGIANO DEBORAH
– Deborah Iori, la mamma affetta da una rara patologia curabile solo negli Stati Uniti, è tornata a casa, dopo un mese di degenza presso la clinica Environmental Health Center di Dallas. “Come dopo ogni viaggio – afferma – siamo sempre contenti del risultato ottenuto. Grazie alle nuove terapie aggiornate, ho avuto piccoli progressi. Ad esempio, ho potuto introdurre altri nuovi cibi, così la mia dieta si è allargata e finalmente posso mangiare anche alimenti gustosi per il palato. Dopo un anno di cure, lo staff della clinica ha potuto confermare che la patologia di cui sono affetta è una forma genetica e per altro l’mcs (sensibilità multipla chimica) è stata solo una delle sintomatologie della malattia. Malattia che da ben quarant’anni il dott. William Rea cura a Dallas con terapie davvero efficaci: ho conosciuto parecchi pazienti americani che fin da giovani sono stati seguiti da lui e, grazie alle sue cure, vista la cronicità della patologia, hanno raggiunto l’età senile”.
Deborah è riuscita a partire per Dallas grazie al contributo di molte persone e associazioni che, anche in forma anonima, hanno voluto partecipare a questa gara di generosità. E’ già la terza volta che raggiunge gli Stati Uniti. Le è indispensabile per essere controllata e per rifornirsi di medicinali. Questo avverrà ogni sei mesi per ancora quattro anni. Ora può partire con un aereo di linea, non necessitando più di un aereo speciale, decontaminato appositamente per lei, come è avvenuto per il primo viaggio. Sia il volo, sia la degenza presso la clinica, sia le cure negli Usa e in Italia sono sempre state interamente coperte da chi si sentiva coinvolto nella sua esperienza.
Ora la novità, illustrata per bocca dalla stessa Deborah: “Amici, che mi avete sempre seguito e sostenuto, il 5 luglio scorso è nato il comitato senza scopo di lucro “Pro Deborah” con sede a Leggiuno in Via Carso n. 19, promosso dai rappresentanti di 13 associazioni locali, allo scopo di comunicare, informare, sensibilizzare in merito alle condizioni della mia salute. Inoltre ha la finalità di organizzare incontri, manifestazioni e iniziative di vario tipo che possano servire a raccogliere fondi”. Il comitato verrà presentato ufficialmente il primo ottobre alle ore 20,45 presso il teatro Istituto Maria Consolatrice di via Trento 29 a Leggiuno. Seguirà un concerto di altissimo valore compositivo ed esecutivo: “Quattro mani per una vita” con Anna Rastelli e Giuliano Bellorini che eseguiranno quattro composizioni di Franz Schubert. Ma già sabato 17 settembre alle ore 19, la Pro Loco di Sangiano, con il patrocinio del comune, organizzerà una cena a offerta libera presso villa Fantoni cui seguirà il concerto “Those”.
Federica Lucchini
GAVIRATE MIGRANTI PARTITI
– I 22 migranti, ospiti da lunedì scorso (5 settembre) nella cosiddetta “palestrina” dell’Istituto “Stein”, hanno lasciato ieri alle 10,30 la struttura con tre diverse destinazioni: quattro hanno raggiunto Somma Lombardo, sette Villa Letizia a Caravate e undici la struttura di Maccagno, gestita come la precedente, dalla cooperativa Agrisol che opera sotto l’egida della curia di Como. Prima della partenza i richiedenti asilo hanno pulito e sanificato lo spazio messo loro a disposizione con prodotti forniti dalla Cri Comitato Medio Verbano, che in tutti questi giorni, è stata presente con i suoi volontari 24 ore su 24. Hanno inoltre smontato le brande, caricate sui camion. Gli ultimi ritocchi inerenti l’ordine dello spazio sono stati effettuati dai volontari. La palestrina è quindi a disposizione della struttura, di proprietà della Provincia, e quindi perfettamente agibile per gli studenti dei licei i degli istituti tecnici, che da oggi (12 settembre), iniziano la scuola. “Durante la partenza sia noi, sia i migranti abbiamo vissuto un momento di commozione – spiega Simone Foti, presidente Cri – In questi giorni abbiamo vissuto gomito a gomito, abbiamo quindi condiviso esperienze come quella di sabato quando li abbiamo accompagnati al lago per una passeggiata. Sabato, inoltre, abbiamo vissuto un momento comunitario con una pizzata: noi eravamo in trenta, quelli che hanno operato con loro. Grazie alla presenza di un mediatore proveniente dal centro di Tradate, con cui la Cri Medio Verbano collabora, un giovane ci ha rivolto in italiano parole di ringraziamento per l’accoglienza e per l’umanità dimostrata. Per noi – termina Foti – questa esperienza è stata decisamente un momento di crescita, che ci ha arricchito umanamente, e di soddisfazione dal momento che il Comitato ha garantito sicurezza per i cittadini e nel contempo assistenza sanitaria e umanitaria per i richiedenti asilo”. “Sono già stati ospitati nelle nostre strutture di Caravate e di Maccagno – ha spiegato ieri a mezzogiorno Simone Maritan, presidente della cooperativa Agrisol – dove si fermeranno per un mese. In questo periodo svolgeranno le attività assieme agli altri migranti già presenti”.
Federica Lucchini
GAVIRATE CASTAGNA
– Lui ha ricevuto in dono la forza del perdono altrimenti – ha spiegato – “come è possibile continuare a recitare il Padre Nostro? Il cristiano, se non vive il perdono, come può chiamarsi tale?”. Era gremita la tensostruttura adiacente l’oratorio sabato sera quando Carlo Castagna, che nella strage di Erba del 2006 ha perso la moglie Paola, la figlia Raffaella e il nipotino Youssef uccisi dai vicini di casa, è venuto a testimoniare la sua esperienza di perdono nell’ambito della rassegna “Testimoni di misericordia”, organizzata dalla Comunità Pastorale della Santissima Trinità. Significativo della sua presenza è stato il fatto – ha spiegato nell’introduzione il parroco don Maurizio Cantù – che Gavirate ha dato i natali a don Carlo Caletti, padre spirituale di Castagna, che, ha aggiunto lui stesso, “ha favorito i primi passi di avvicinamento al Padre in maniera qualificante”. Il suo è stato un omaggio alla città che ha molto a che fare con la sua esperienza di cristiano. “Quella sera in cui ho perso i miei cari, ero in condizioni di soccombere, ed è stata basilare la presenza di mamma Lidia, mia suocera, la cui fede è costruita sulla roccia: “Ora – mi ha detto – possiamo sdraiarci sulla croce”. Noi quando diventiamo oggetto di misericordia, siamo noi stessi misericordia. Mi sono fidato e affidato al Padre che ha saputo dare cuore ad un misero come me. In abbondanza, altrimenti avrei vissuto in modo tremendo. La mia sofferenza è rimasta tutta, ma è diventata gioia di aver condiviso la vita con i familiari che ho perso. Ho la certezza della loro vicinanza, il loro abbandono è solo visivo”. Parole molto belle, di una tenerezza struggente, ha saputo usare nei confronti della moglie Paola con la quale ha condiviso il percorso della fede e con la quale intesse un dialogo continuo. Quando un mio nipotino mi ha chiesto dove erano le tombe di sua zia Raffaella e del cuginetto Youssef, sepolti in Tunisia, mi era difficile spiegare e lui mi ha detto: “Nonno, non fa niente. Il cielo è uno solo!”. Era Paola che parlava”.
“Chi può dire che il perdono è un miracolo della grazia? – è intervenuto monsignor Emilio Patriarca – Colui che ha vissuto il perdono. Solo un testimone come Carlo può dire che è un miracolo la misericordia di Dio”.
Federica Lucchini