Ancora oggi, tutti i giorni si sveglia regolarmente alle 3,30, anche se non ne ha più la necessità. E’ una consuetudine che il suo fisico ama mantenere, tale è la passione inscritta nel suo animo. Allora, bisognava vestirsi, preparare le attrezzature venatorie, andare nel pollaio a prendere le anatre da richiamo, caricare la barca e raggiungere l’appostamento. Il tutto con quell’abilità intessuta di entusiasmo e di quel “pathos” che ricorda molto le pagine di Mario Rigoni Stern quando l’autore descrive quelle ore febbrili della notte prima della partenza per la caccia. Per Aldo Della Chiesa, 80 anni, biandronnese, la piana del lago di Varese ha rappresentato per una vita quello che per lo scrittore è stato l’altipiano di Asiago: un luogo mitico. Il risveglio così mattiniero, che corrisponde ad uno sguardo sul lago dalla finestra del soggiorno, è foriero di un incontro: durante il periodo della caccia, vede passare il barchetto di Gianfranco Zanetti, uno degli ultimi pescatori professionisti. Tra uomini di lago non è necessario il saluto: sono le radici ancestrali che parlano. “Noi sentivamo l’odore dell’acqua -afferma ricordando le esperienze con il papà Paolo e il fratello Armando- Era particolare, intriso del profumo di erbe che gli davano una connotazione tutta sua. Ho visto tante albe, una diversa dall’altra, ma ne ricordo due, mai più riviste, talmente mi hanno fatto vivere una esperienza emozionante: una in cui il lago era illuminato a giorno con i colori dell’oro. Sembrava di essere in un ambiente magico in cui si vedevano persino i moscerini. L’altra con il sole che stava spuntando e le nuvole sprigionavano un rosso amaranto. In fondo 150 folaghe”. Il cuore gli batteva forte da bambino quando, steso nel barchetto, costruito dal padre (il fasciame esterno tutto in larice, l’interno di robinia stagionata, più forte dell’acciaio) vedeva il genitore cominciare a prendere la mira. Era l’ora, dopo un’attesa lunga. Solo la gente provetta di lago riusciva a sparare dalla barca: questa si muove secondo l’onda, come anche gli anatidi. Quindi era proprio una questione di precisione. “Dopo la cattura, tutto crollava. Era il prima che generava l’adrenalina”, ricorda. Lui ha continuato a cacciare per molti anni nel quadrilatero di lago tra Cazzago Brabbia, Bodio Lomnago, Calcinate del Pesce e Groppello, con il suo barchetto di 7 m. perché 7 erano le onde che doveva solcare, attento all’arrivo del vento forte da nord proveniente da Orino, nord-est dal Sacro Monte. “Quando da lì arrivavano batuffoli di nubi che subito sparivano, significava che bisognava tornare subito a casa: era in arrivo un vento forte”, ricorda. Pur non praticando più, è ancora cacciatore titolare di capanno. Non avere la licenza per lui significa tagliare quel filo infrangibile con il lago. Le anatre da richiamo sono sacre. E’ una scena bella il vederlo scendere verso il pollaio e loro che riconoscono il passo si fanno avanti tutte festanti. Sono tutte registrate. La più anziana ha 16 anni. “Non possono essere lasciate libere -spiega- finirebbero per diventare preda delle volpi”. C’è un suo desiderio (con l’auspicio che si avveri il più tardi possibile) che dice tutto di un uomo di lago: nell’ora estrema vuole che il letto venga rivolto verso le acque. Un saluto in linea con la sua vita.
Federica Lucchini