“Amiamo il lago, viviamo il lago, ma sempre partendo dal basso”: la raccomandazione finale del Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, nell’introduzione effettuata a distanza del convegno “Il lago di Varese, paesaggio naturale e paesaggio culturale”, tenutosi nel chiostro di Voltorre nell’ottobre scorso, ci offre una visuale completa di come va considerato il lago. Siamo soliti guardarlo dal pelo dell’acqua in su, come in una cartolina che esalta il bello, non diamo importanza alla vita che sta sotto. Giorgetti, figlio di pescatore, sa che il cuore pulsante del lago è verso il fondo, nella parte che noi non vediamo. Allora iniziamo il viaggio conoscendo dapprima chi il lago lo considera nella profondità della sua anima. Sono rocce. Depositari di una sapienza atavica, accumulata dall’infanzia, vivono in un mondo tutto loro, che ha percorsi suoi. Sono i pescatori professionisti. Tre figure – Giorgetti Ernesto e Luigi, Gianfranco Zanetti, presidente della Cooperativa Pescatori – che seguono i ritmi del lago, nonostante l’età. Avvezzi a mettere le mani in acqua, a sollevare le reti, ad essere a contatto della natura sul loro barchetto, a parlare poco, hanno fatto a tempo a vivere le pesche memorabili. C’è un ricordo significativo di Cesare Giorgetti – figlio secondogenito di pescatore, e quindi costretto a scegliersi un altro mestiere, rispettando lo statuto della Cooperativa che esigeva la presenza solo dei primogeniti, altrimenti sarebbero stati in troppi – che è illuminante: bambino, un giorno pescò cinque tinche con il bertavello (tipo di rete). Il padre Luigi gli spiegò che un muratore avrebbe dovuto lavorare una intera giornata per guadagnare l’equivalente: “Ecco perché tuo nonno nel 1921, assieme agli altri pescatori, comperò il diritto di pesca dai Ponti, proprietari del lago: non per diventare ricchi, ma per avere un lavoro in proprio, a casa, senza emigrare perché il pane degli altri “el gha sett crost e un crustin””. Espressione dialettale che spiegava quanto fosse difficile lavorare sotto padrone. Ci sono poi altre figure significative, come Pietro Brani, che per una vita ha curato l’incubatoio alla foce del Tinella a Oltrona. Queste sono persone che hanno un amore viscerale per il lago. Guardano sott’acqua e guardano il cielo. Sì, lo conoscono perfettamente: è sufficiente un refolo di vento per capire che bisogna rientrare. Poi ci siamo noi che viviamo il lago dal pelo dell’acqua in su, in un mondo estraneo ai pescatori. Ma è un mondo ricco: immaginare i paesi rivieraschi senza lago è come immaginare Milano senza Duomo. Che dire di quella bella gioventù che si allena incessantemente con le canoe attraversando le acque? Osservandole dall’alto, il lago sembra un’autostrada trafficata: tutti sotto sforzo che ubbidiscono all’allenatore che parla loro con gli altoparlanti. A Gavirate nei bar, in alcuni negozi i clienti sono australiani e sentire parlare in inglese è ormai una consuetudine: l’hub che li ospita porta novità, porta apertura. E che dire della pista ciclabile che in certi momenti è affollatissima, non consigliabile per i ciclisti? Nascono incontri, si intrecciano relazioni. Si scoprono angoli molto belli e suggestivi, legati alla cultura del lago. A Cazzago Brabbia, paese della pesca, sono monumenti al lavoro le tre ghiacciaie che si notano con il loro tetto circolare in beole. Ora vengono aperte per momenti culturali, ma un tempo contenevano il ghiaccio per conservare il pesce che veniva venduto anche in posti lontani. Un consiglio: per chi vuole conoscere un altro reperto arrivi al lago di piazza: così è denominato il lungolago di Cazzago. Potrà ammirare il rierùn, l’ultimo esemplare di barca per la pesca collettiva. Se poi si sposta verso l’approdo, sappia che l’acqua della volta d’amur, come è denominata un’ansa, è stato centro di vita. Migliaia di anni fa l’uomo viveva nelle palafitte e faceva esattamente le cose che facciamo noi: si innamorava, litigava, si procacciava il cibo per la famiglia. Provava le nostre stesse gioie e gli stessi dolori. In tanti punti delle rive del lago e soprattutto all’isolino la vita ferveva. Se si vuole cambiare epoca, si può andare a Biandronno, a guardare il trampolino, costruito negli anni Trenta del secolo scorso. A breve verrà restaurato. Certo, non si può dire che tutti amano l’ambiente: i rifiuti sulla pista, in mezzo alle canne e anche nel lago, ci fanno dire di no. Ma ogni comune provvede con le giornate ecologiche, a cui partecipano tanti volontari, anche bambini, a pulire. Da quando la Regione Lombardia, in collaborazione con molte altre realtà, ha dato il via allo sviluppo dell’Aqst (Accordo Quadro di Sviluppo Territoriale) per il risanamento delle acque c’è più consapevolezza nel rispetto dell’ambiente.
Federica Lucchini
Foto di Armando Bottelli