AMARE L’ITALIA, MA IN CHE MODO?
di felice magnani
Ci si domanda spesso come sia possibile amare sul serio il paese in cui si è nati, in cui si vive, quali siano gli elementi e gli strumenti che ci consentano di realizzare quel piano strategico legato all’affetto, che unisce le forze e le speranze, quel desiderio di vedere sempre qualcosa di più bello, di più unito, di più umanamente vero e reale. Le strade sono tante, ma hanno un punto di partenza unico, la famiglia. Il mondo umano è costituito soprattutto da affetti profondi, legati alla nascita, alla famiglia, alla vita in comune, agli amici, all’amore in generale, al lavoro. Il luogo in cui si è nati, ad esempio, esercita sempre un grande fascino, lo esercita anche quando per vari motivi si è costretti o si sceglie di lasciarlo, quando sempre per vari motivi si fanno delle scelte alternative. L’amore per la famiglia va di pari passo con quello dei luoghi che hanno visto nascere e crescere la nostra dimensione umana e civile. Il paese o la città assumono via via una dimensione sempre più grande, fino a diventare il senso vero e profondo della nostra esistenza, del nostro modo di essere, di fare, di comportarci, spesso assumono un valore aggiunto e ne diventiamo anche un po’ custodi, proprietari, protettori, ci rendiamo conto che non abbiamo il diritto di calpestare quello che è stato creato con mille cure, attenzioni e sacrifici da chi ci ha preceduto. Dunque la famiglia è una prima grande scuola, una scuola straordinaria, i cui effetti si fanno sentire, hanno un peso determinante nell’economia di una comunità. Una famiglia attenta, premurosa, generatrice di educazione e di civiltà darà un contributo determinante alla crescita di quel piccolo mondo in cui abbiamo il dovere di vivere e di operare. Se i figli crescono rispettosi e coscienziosi, se crescono nella convinzione di essere al centro di una straordinaria esperienza umana, se si mettono in gioco e contribuiscono a renderla sempre più ricca e più bella, ecco che la comunità trova dentro di sé una forza straordinaria, quella che le permette di diventare un esempio, un sistema da amare e da adottare, da vivere e da presentare con orgoglio, gioia e passione. L’amore non nasce per caso, è una perfetta sintonia che va coltivata ed esercitata, fatta conoscere, una delle modalità più comuni è l’esempio. Cos’è l’esempio? E’ l’interconnessione che assumono le cose che facciamo, un impegno che è frutto di una volontà, di qualcosa che scaturisce da una convinzione profonda, che non resta mai isolata, che si lega sempre a una identità più grande, che tende a configurare una visione sempre più ampia, articolata e completa della vita che stiamo vivendo. L’impegno, il dovere, il sacrificio, hanno sempre una finalità comunitaria, si realizzano, si emancipano e si completano all’interno di quello straordinario momento educativo rappresentato dal fermento comunitario. Educare i giovani a vivere in comunità è la più alta forma educativa, quella che abitua ad allargare sempre un pochino di più il nostro io, un io spesso costretto in spazi troppo ristretti per potersi realizzare al meglio. Una comunità che accoglie e che orienta è una grande comunità. Una comunità che sa mettersi in gioco e che sa analizzare i propri comportamenti senza la paura di sentirsi sminuita è una comunità matura, che adotta la democrazia come sistema di autoregolamentazione morale, sociale e civile. Per capire meglio il senso della vita comunitaria bisogna alimentarne la forza e l’intensità, perché il segreto di una vittoria non sta nel singolo o nei singoli, ma nella capacità di essere parte viva e attiva di una realtà, imparando a leggerla e a costruirla strada facendo con grande abnegazione e impegno. I tempi del Coronavirus sono tempi di distanza, di chiusura, di grande incertezza, di paura, sono tempi in cui il rischio vero è quello di perdere di vista la centralità umana, il suo essere il vero centro di una rinascita o di una ripresa, il timore che l’altro sia il nemico da evitare, l’idea che possano esistere una scuola e un lavoro lontani dalla nostra naturalissima voglia di affetto e di umanità. Il Coronavirus è un problema, ma i problemi si risolvono dentro la forza di un sistema profondamente comunitario, che sa riconoscere i propri limiti e le proprie capacità. Si tratta di tempi difficili, dove l’attenzione deve essere alta, ma non deve mai perdere di vista l’intensità della vita, capace di trasformare la paura in coscienza umana, l’isolamento in vocazione al donare,il silenzio in un’analisi vera e profonda dei propri comportamenti e la dilatazione del tempo un incontro reale con una natura umana per troppo tempo abbandonata a se stessa, alle logiche di un consumismo massacrante, capace di cancellare le parti nobili della nostra vita, quelle che valorizzano la nostra identità. E’ proprio in tempo di Coronavirus che ci siamo resi conto delle nostre inadempienze, dei nostri limiti, delle nostre incongruenze, abbiamo forse capito che tra la povertà e la ricchezza esiste anche una possibilità intermedia e che alle parole vanno fatti seguire i fatti. Ci siamo resi conto di quanta inutilità venga propinata alla natura umana, di quanta stupidità esista ancora nel cuore dell’uomo, nella sua voglia di primeggiare, di comandare, di volersi sentire a tutti i costi il padrone del mondo. Abbiamo capito che il bene, quello vero, va ricercato dentro di noi, va commisurato, va portato allo scoperto, va fatto conoscere, va riabilitato, rimesso in lista tra i valori che veramente contano, abbiamo forse compreso che è nella valorizzazione dell’umanità che risiede la massima espressione della nostra identità, è nel sentirci impotenti che scopriamo la bellezza e la forza dello spirito provvidenziale, è nella fede e con la fede che ricreiamo un mondo ampio e credibile, capace di farci trovare un po’ di quella felicità che abbiamo consegnato troppo in fretta a carnefici come la globalizzazione, la digitalizzazione, l’economizzazione, rinunciando a essere quelli che realmente siamo, uomini e donne in cammino verso una felicità più alta, lontana, ma capace di grandi trasformazioni umane e morali, capace soprattutto di valorizzare al massimo la nostra unicità, il nostro essere in parte con i piedi per terra e in parte spiriti che anelano alle bellezze di cui siamo circondati e oltre. In questi mesi di battaglia contro la pandemia abbiamo imparato a visitare e a rivisitare la nostra identità e quella della realtà in cui il destino umano ci ha collocato, abbiamo avuto tutto il tempo per capire che la vittoria non è mai un fatto singolo, ma è la sintesi di una compartecipazione, la capacità di unire le forze per esprimere al massimo livello lo spirito comunitario che muove la nostra azione, la vittoria più grande è infatti quella che nasce da un concorso collettivo di responsabilità, la voglia di dimostrare sul campo quanto sia importante unire le forze e metterle al servizio della comunità in cui viviamo. C’è un unico modo per amare il paese, amarlo sul serio, averne perfetta coscienza, rispettarlo, onorarlo, proteggerlo, stimolarlo, fare in modo che anche gli altri, quelli che vengano da fuori imparino a viverlo con la giusta temperanza e che lo sentano davvero proprio, una conquista da stimare, da valorizzare, da potenziare. Chi va in un altro paese, chi chiede ospitalità deve farlo prima di tutto con il cuore, con la consapevolezza che bisogna rispettare le regole, che bisogna collaborare, lasciando fuori tutto ciò che odora di prevaricazione e di delinquenza, adoperandosi per il bene di quel paese. Famiglia, scuola e lavoro sono fondamentali anelli di congiunzione, elementi primari per poter realizzare quel sogno di felicità e benessere che anima da sempre la natura umana, di qualsiasi colore essa sia, a qualsiasi religione appartenga.