RICORDARE ALDO MORO SIGNIFICA NON DIMENTICARE MAI CHI LA LOTTATO FINO ALL’ESTREMO SACRIFICIO DELLA PROPRIA VITA PER DIFENDERE I VALORI DI UNA SOCIETA’ FORMATA DA UOMINI LIBERI, CAPACI DI VEDERE OLTRE I MURI DELLA DIVERSITA’ POLITICA, METTENDO DAVANTI A TUTTO LA NAZIONE CON LE SUE DIFFICOLTA’E LE SUE SPERANZE.
Aldo Moro
Per noi giovani democristiani, impegnati con ruoli diversi nella vita pubblica nel lontano 1978, Aldo Moro rappresentava la visione nuova di un mondo che stava cambiando radicalmente il suo modo di porsi, soprattutto nei confronti di una politica che, forse, aveva vissuto troppo a lungo di una sorta di retaggio difensivo, oltre il quale esisteva solo un’interpretazione di natura classista, caratterizzata da uno rutilante conflitto politico e ideologico. Si trattava di affrontare una storia ancora troppo ancorata a pregiudizi, odi e rancori e a varie forme di antagonismo storico, filosofico e sociale, che rendevano umanamente difficile compattare le attese di un paese indirizzato verso una positiva pacificazione. La storia aiuta a ricomporsi quando si rende conto che i muri rischiano di annullare la spinta rigenerativa che muove gli esseri umani, in particolare nei momenti difficili. Quali le indicazioni del presidente DC? Occuparsi concretamente del rinnovo di un mondo che chiedeva passaggi importanti, per capire come una società potesse modificarsi, per rispondere in modo più democratico alle attese dei suoi cittadini. Aldo Moro ha evidenziato che la storia, anche quella più vincolata a scelte di natura personale, è una realtà in divenire, che pone sempre nuovi interrogativi, dimostrando che è soggetta a cambiamenti che si alimentano strada facendo, in virtù di una conoscenza più ampia e approfondita della storia stessa e di tutto ciò che la rende viva. Negli anni settanta il clima politico era pesante, impregnato di un forte soggettivismo, lo scontro tra le parti in campo era spesso frontale. L’estremismo aveva preso il posto della giusta reciprocità dei rapporti, l’incendio ideologico era ancora troppo vivo per permettere di predisporre gli animi a una visione più pacata e razionale degli eventi. Il clima che si respirava non lasciava presagire nulla di buono, lo si sentiva a naso. Spesso anche i meno attenti e i meno preparati sentivano puzza di bruciato, capivano che il clima che si respirava era confuso al punto che non si riusciva a distinguere quale fosse il senso di una verità sociale, umanamente condivisa. La politica romana aveva preso una sua strada, cercava di fare in modo che forze tradizionalmente opposte potessero trovare modalità per condividere l’ipotesi di un cammino comune. La situazione non era chiara, la chiarezza era ancora un obiettivo lontano, ma non irraggiungibile. Anche in campo sindacale diventava difficile capire chi fosse la CISL e chi la CGIL. Ricordo a questo proposito che molti degli incontri riservati a noi docenti delle centocinquanta ore si tenevano nei locali della locale Camera del Lavoro e il ruolo dei responsabili CGIL era di gran lunga superiore a quello della CISL. Per quelli iscritti alla Democrazia Cristiana e alla CISL come il sottoscritto, la vita non è stata facile, ci si rendeva conto che l’attenzione era altissima che bisognava dosare con molto garbo e cautela le proprie convinzioni, in alcuni momenti capivi che eri un osservato speciale. Ho ricordi molto nitidi di quelle serate trascorse a insegnare a interi Consigli di fabbrica, a Forze dell’ordine con vocazione commerciale e imprenditoriale, a persone che volevano aprire un’attività, tutta gente molto provata dalle situazioni concrete della vita, con una buonissima conoscenza dei problemi reali. Alle 150 ore del 1978 la presenza sindacale era molto attenta e preparata, non era assolutamente facile essere l’insegnante di Storia e di Educazione civica di ottanta alunni, in un momento attraversato dal rapimento dell’onorevole Aldo Moro e dal suo assassinio. Il fatto che fossi iscritto alla Democrazia Cristiana e al sindacato CISL della mia città suscitava sicuramente qualche attenzione in più nei miei riguardi e posso confermare che la presenza di una stella a cinque punte disegnata su un banco rendeva l’aria un pochino pesante, nonostante la grande volontà di dimostrare la bellezza e la forza dei temi trattati, al centro dei quali mettevo sempre il lavoro, il rispetto nei confronti della persona, spesso trattata con sufficienza e con disprezzo da una classe imprenditoriale troppo impegnata nel far quadrare i conti. Un mio alunno, a capo di un Consiglio di fabbrica, una sera mi propose di andare a studiare a Mosca a spese del sindacato. La cosa mi lasciò alquanto perplesso, anche se confesso che mi fece tutto sommato piacere, perché quel tizio mi stimava perché, nonostante fossi democristiano, stavo dalla parte della giustizia sociale. L’idea che qualcosa di sconvolgente potesse succedere, l’idea di una fragilità sociale, politica e morale di fronte alla quale non si riuscisse a trovare risposte adeguate, la fragilità delle leggi, la violenza verbale e gestuale, tutto sembrava concorrere verso una dissoluzione di tutto ciò che era stato costruito ed esibito come democraticamente perfetto in tempi non sospetti. Noi giovani democristiani facevamo molta fatica a capire come uno Stato potesse essere ostaggio di un potere così spudoratamente antidemocratico come quello rappresentato dalle brigate rosse. Aldo Moro era per noi il simbolo di un’Italia che cercava di abbattere i muri, di aprire varchi e di costruire ponti con il contributo di tutti, proponendo un tipo di libertà più vera, meno vincolata ai pregiudizi, a verità preconfezionate ormai formalmente e nella sostanza superate dalla storia. Una cosa mi ha colpito profondamente di quel 26 maggio del 1978, la lettera che mi è stata fatta recapitare sulla cattedra alla fine dell’anno scolastico. Una lettera scarna, essenziale, di lavoratori che avevano condiviso con il loro insegnante di storia ed educazione civica momenti difficili della vita personale e di quella nazionale. Recitava: “26-5-78 Piacenza – Aggiunga alla sua storia, questa nostra disavventura con sperabile buon esito. Noi faremo del Suo insegnamento tesoro per un miglior comportamento sociale . Saluti – corso – B”. La conservo con grande amore e ogni tanto me la rileggo. L’idea di aver contribuito a definire un miglior comportamento sociale insieme a rappresentanti di Consigli di fabbrica, a rappresentati di Forze dell’Ordine e a tante persone in cerca di un diploma per poter lavorare, mi ha reso e mi rende ancora oggi molto felice. Tutto questo mi ha fatto capire che, in fondo, sarebbe bastato poco delineare un rapporto relazionale vero, onesto e sincero, sarebbe bastato essere se stessi, dire la verità, non usare gli altri per fini e scopi personali, ma rispettarli e ascoltarli, magari anche con una certa fermezza, dimostrando che si era tutti sulla stessa barca, che l’uno aveva bisogno dell’altro e che la giustizia non era solo un valore costituzionale generale, ma un modo di essere nella società. Il mondo del lavoro è straordinariamente bello e provocante, ma bisogna farlo amare, bisogna educare il prossimo ad apprezzarlo, convincendo le persone che una società veramente democratica ha sempre bisogno del concorso di tutti e che tutti sono importanti, perché è partendo da una unità condivisa che si possono risolvere positivamente le diversità e le incomprensioni del mondo. Questo era anche un aspetto importante del pensiero di Aldo Moro. Un 1978 da non dimenticare quindi, ma soprattutto da rileggere e da capire, cercando tra le righe tutto quello che di buono sarebbe potuto nascere se lo Stato fosse stato più attento e capace nel comprendere e nell’orientare orientare quella marea oleosa che avanzava inesorabilmente. La morte dell’onorevole Aldo Moro è stata una dura prova per tutti, soprattutto per coloro che credevano nella possibilità di rompere i muri dell’incomprensione, di poter finalmente attivare una politica della comprensione, del dialogo e del confronto, pur mantenendo vivo il diritto alla diversità. L’onorevole Moro ha pagato un prezzo altissimo, è stato vittima sacrificale di un mondo che molto spesso crede di disporre della vita a proprio uso e consumo, un mondo che pretende di imporre le proprie verità, senza immaginare che la verità non è un valore univoco e assoluto, ma ha un bisogno continuo di conferme, di dialoghi e di confronti per entrare nel vivo di un dinamismo che, mettendosi al servizio della verità, contribuisce anche parzialmente a determinarla, rendendola sempre più reale e cosciente.