Per entrambi, il loro paese è il luogo dell’anima, al punto da dedicargli 44 anni di vita. Ora non più in veste di primi cittadini, ma come volontari, sono sempre presenti. Roberto Piccinelli, ex sindaco di Brinzio, e Cesare Moia di Orino, da poco più di un mese non vestono più il loro abito tradizionale: il primo lo ha indossato per quattro mandati, il secondo per cinque, senza tralasciare l’esperienza di consiglieri e assessori. E’ sereno l’incontro con loro: sono fisicamente fuori dal comune, ma mentalmente dentro. Hanno molte affinità. Lo dimostra la bellezza del centro storico dei loro paesi curato nel rispetto della tradizione, il culto della natura circostante. Ripercorrere assieme la loro esperienza significa aprire pagine di storia. Per Piccinelli essere amministratore “è stato un amore a prima vista”, per Moia è cominciato “con le gocce di calmante”, perché negli accordi non doveva essere lui il sindaco, ma aveva ottenuto più voti e subito “è stato preso dal vortice”. “Essere sindaci in un piccolo comune -dice- è un impegno gravoso. Bisogna sapere fare di tutto, ma la passione che ci ha animati è diventato uno stimolo per rendere migliore il modo di vivere e l’ambiente”. Anche se per Piccinelli lo stimolo può essere stato rappresentato in prima battuta da un avversario in consiglio comunale: “Non ero abituato alla dialettica -ricorda- Abbiamo fatto delle belle battaglie!”. E lui, nel 1980, in veste di assessore alla Pubblica Istruzione, si è impegnato perché la scuola primaria divenisse un fiore all’occhiello. E quando ci fu la minaccia di chiuderla prese accordi con i sindaci dei comuni confinanti perché vi mandassero gli alunni. In cambio non avrebbero avuto spese. “E di questo se ne sta godendo ancora oggi”, afferma. Scandisce bene la data: 31 dicembre 1980, giorno in cui venne assassinato il generale Riziero Galvaligi, braccio destro del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di casa a Brinzio. “Un compagnone -lo definisce- che arrivava in cima ad una località conosciuta come Motta Rossa, si toglieva la divisa, si metteva i pantaloni di fustagno, e amava ritrovarsi con gli amici a mangiare la polenta”. Ricorda come se avvenissero ora le esequie di Stato, il paese blindato. “Il mio percorso di vita è influenzato dalla sua figura”, afferma. C’è un gioiello che testimonia il suo affetto viscerale per il territorio: il museo della cultura rurale prealpina, fortemente voluto con l’amico Emilio Vanin, che trova spazio in quella che era la casa del comboniano Giacomo Piccinelli. Anche a Orino c’è un museo particolare, più esattamente un ecomuseo diffuso in quattro cantine sempre aperte denominato “Museo Pom Pepin” dal nome della mela poppina, una vecchia qualità rivalutata e salvata dall’estinzione. E’ orgoglioso Moia di questa richiamo che caratterizza il paese e che dà la possibilità di ammirare vecchio materiale recuperato per la produzione del vino, del taglio della legna in montagna, la fienagione e la lavorazione del legno. Per non perdere le tradizioni, il dialetto locale, da 7 anni gli anziani si trovano in biblioteca a ricordare i costumi del passato, raccolti in tre libri “Urin di temp indrè”. “Mi auguro che tutto questo sia uno stimolo per il recupero da parte dei giovani delle nostre tradizioni. Orino è conosciuto come il paese della mela e del dialetto”, afferma senza aver trascurato interventi a tutela del territorio e del risparmio energetico”, termina.
Federica Lucchini
Video di repertorio