A Morosolo c’è la generazione del Kaki. Sì, una generazione particolare, cresciuta in parallelo con una pianticella di kaki, nata nel 1994, grazie all’intervento del fitopatologo giapponese Masayuki Ebinuma, da un seme dei primi frutti dell’unico albero sopravvissuto al bombardamento atomico di Nagasaki dell’agosto 1945. Come le altre sue sorelle, sparse in tutto il mondo in sedi prestigiose, è cresciuta rigogliosa in un angolo del sagrato della chiesa sconsacrata di san Giovanni Battista, dopo essere stata piantumata il 18 marzo 2000. Questa pianta ha nutrito di ideali di pace, ha formato la coscienza civile degli alunni che si sono succeduti nella scuola primaria “Alessandro Manzoni”, grazie all’opera lodevole delle insegnanti Cristina Carcano, Alessandra Azzoni, Roberta Malnati e della ispiratrice dell’evento, Anniva Danzi, senza dimenticare il comitato genitori. Quella vita che si rinnovava è stata il simbolo di un percorso educativo ed artistico corale straordinario che si rinnova da vent’anni. Per il prossimo anniversario, programmato per il 21 marzo (situazione sanitaria permettendo), hanno già risposto all’invito gli ex alunni, ora anche genitori, consapevoli di essere tenutari di esperienze uniche, come l’aver partecipato alla 48^ Biennale di Venezia con i loro lavori in rappresentanza dei progetti italiani, seguendo le indicazioni dell’artista Tatsuo Miyajima, ideatore del “Progetto dell’albero del kaki-la rinascita del tempo”. Sarà presente anche lui, assieme a tutti gli altri artisti che hanno condiviso e concretizzato questo percorso. Come il fitopatologo riuscì a fare germogliare i semi, così le insegnanti si sono prefisse di “estrarre” da ogni bambino i germogli che sono in lui. “Ci è sembrata la cosa più importante. Noi crediamo che dentro ogni bambino, anche il più “devastato” ci sia un frutto pronto a maturare. Con la stessa fede di Ebinuma che ha creduto così fortemente nella rinascita dell’albero come simbolo della vita e della pace, noi crediamo che l’unica possibile risorsa per il futuro siano i bambini: bambini di pace, appunto”. E per giungere a questa finalità in tutti questi venti anni, lo strumento privilegiato usato dalle docenti è stato quello dell’arte, perché come la pace supera ogni barriera, così l’arte è un ponte fra le culture.
E’ difficile dimenticare lo sguardo incantato dei bimbi quel sabato 18 marzo di vent’anni fa nella Sala dei Papi di fronte al vaso di terracotta in cui era deposta la pianticella, tra la bandiera giapponese e il gonfalone comunale: avevano gli occhi della meraviglia. Festosi, attenti lo furono anche durante il trapianto: “Sarà nostra cura farla crescere -aveva detto il sindaco Marino Brovedani- perché diventi simbolo di pace e di speranza, dono vivo che va nutrito come una profonda risorsa. Attorniamola di espressioni e di azioni di amore. Facciamo che viva in una perenne primavera, ove germogli, sempre rinnovata, e sempre attuale la pace”. E così è stato. Anche quando venne vandalizzata, le cure furono infinite. Perché è il simbolo della vita. Non può morire.
Federica Lucchini