Dieci anni fa, era il maggio 2003, ci lasciava Marco Costantini.
Va subito detto che se il decennio che segue la scomparsa di un artista è talvolta di oblio, di distrazione o di attesa, nel caso di Costantini la morte non ha prodotto alcuna dimenticanza, ha anzi favorito una valutazione del suo lavoro più approfondita ed equilibrata. Credo si sappia tutto di lui, ma in ogni caso mi piace ricordare che Costantini è stato un prestigioso incisore lavenese che, con grande talento, ha saputo realizzare immagini di autentica “poesia”: paesaggi, simboli, oggetti, immobilizzati sulla lastra in una specie di sogno talvolta amaro e doloroso.
Un artista sui generis. Non aveva proprio nulla dell’immagine iconografica dell’artista, spesso spocchiosi e presuntuosi; possedeva una naturale modestia, pur essendo lui perfettamente conscio della propria perizia.
Desidero ricordarlo con un “quadretto” che illustra un momento significativo e felice della sua lunga carriera artistica.
Luigi Sangalli, esperto d’arte e anche suo amico, gli organizzò una mostra ad Arcumeggia. Nell’ultimo periodo presenziava mal volentieri alle sue mostre. “Ogni volta che sento parlare di me, mi creda, è un turbamento, un disturbo. Desidero solo essere lasciato tranquillo, e – se Dio mi dà la salute – lavorare in pace, fin che ci riuscirò. Non chiedo altro”.
Quella volta però Costantini presenziò all’inaugurazione. Strano. Trovava sempre qualche scusa per non esserci. Quel giorno, invece, era lì; probabilmente, all’amico Sangalli, non era riuscito a dire di no.
Ebbene, quel giorno ad Arcumeggia, a visitare la mostra era arrivato un mare di gente. Amici di nuova e vecchia data, collezionisti, semplicemente ammiratori, gente comune che non accorreva ad Arcumeggia per investire in arte o per la solo ragione di partecipare ad un evento mondano (come spesso accade), ma semplicemente per esprimergli sincera ammirazione per il suo lavoro onesto e virtuoso. Il Ginetto a fare il discorso, il Sindaco Jelmini a portare i saluti della sua Laveno, e poi Il prof. Musumeci e la prof.ssa Gasparotto a rappresentare nello specifico la cultura del suo paese, di cui era sempre stato indiscusso protagonista; perfino la dott. Gatti, sua estimatrice, critico d’arte del quotidiano La Repubblica, aveva rinunciato ad un evento milanese per essere accanto al vecchio maestro. Tutti attorno, tutti a volergli bene, tutti a salutarlo e ringraziarlo. Quella di Arcumeggia fu per Costantini una giornata memorabile; un autentico attestato di benemerenza da parte della sua gente.
Cos’è la gloria? Per la maggior parte degli artisti è la fama, critici importanti, grandi mostre, televisioni, tanti soldi … Ma la gloria che vagheggiava Costantini è sempre stata un’altra cosa. Non che a lui dispiacessero i consensi della critica, le opportunità artistiche e tanto meno i soldi, ma la gloria era per lui una cosa più intima e riservata, più semplice. Quel giorno ci fu anche chi gli portò un regalo, credo dei cioccolatini. Costantini ringraziò lo infilò sotto braccio, neppure il tempo di rendersene conto.
Poi si attaccò alla figlia Lena perché le gambe cominciavano a fare giacomo giacomo dall’emozione, salutò tutti ripetutamente, tante strette di mano e poi via.
Si allontanò a piedi, attaccandosi al braccio della sua Lena e reggendo goffamente i cioccolatini.
Ecco: la gloria. Questa la “gloria” come nelle aspirazioni di Marco Costantini. (A.P.)