Da quindici anni si alza alle cinque del mattino: ci vuole il silenzio delle ore in cui la mancanza di impegni pratici mette in luce il giusto valore del tempo per tradurre con il cuore. Anche se spesso il lavoro sembra bloccarsi di fronte a termini che richiedono una ricerca approfondita, di scavo interiore. E allora il lavoro diventa appagante, creativo. Per Giorgio Sassi, dal 2015 al 2020 vicesindaco, e ora consigliere comunale, tradurre lo “Spleen” della lirica di Charles Baudelaire, inserita nella raccolta “I fiori del Male” -termine che indica struggimento, malinconia, cruccio, rabbia- ha richiesto una variante del suo dialetto, variante studiata perché indica “quella strozzatura della psiche evocata dal poeta francese”. Così quel “crüzi”, originario è diventato “strüzi”: “Una delle traduzioni più coraggiose”, annota lo scrittore svizzero Andrea Fazioli, nella prefazione di “I Fiur dul Maa”, “vultaa in lèngua da Varés” da Sassi, conosciuto come Sisà. Dopo aver pubblicato alcuni libri vari in vernacolo, nel giugno 2014 ha stampato in proprio “I sunett”, “vultaa in lèngua da Varés” di “Guglièlmo Scèspir”, cioè William Shakespeare, seguiti dalle liriche di Baudelaire, ed ora, dello stesso autore sta lavorando attorno a “I Paradisi artificiali”, un saggio sugli effetti delle droghe. Bisogna sapere che la particolarità di queste pagine è che il francese, l’inglese e il nostro dialetto la fanno da padroni. Assente l’italiano. Ci vuole coraggio. Ma la chiave di questa sfida sta, come spiega nella premessa alla traduzione de “I sonetti” Gianmarco Gaspari, docente di Letteratura Italiana all’Università degli Studi dell’Insubria, nella consapevolezza dell’autore che il dialetto sta sparendo come il mondo che interpreta: “Ma vorrei farvi vedere di che cosa ancora è capace, di che cosa può essere capace. Per questo traduco Shakespeare”. E allora ha avuto inizio questo lavoro di scavo, di revisione, di attenzione ai dettagli per rimandarci a quell’universo culturale lontano, che ha messo così radici sulle sponde del lago di Varese. Ci fa vivere da vicino quello che avviene nel momento magico della traduzione il commento di Fazioli nella prefazione a “I Fiur dul Maa” quando Sassi “ripete a fior di labbra i versi di Baudelaire, tenta non soltanto di capirli, ma di farli propri, di sentirne la musica, l’odore, il sapore. Il suo mormorio continua per qualche minuto finché qualcosa è successo. La musica è sempre quella, il ritmo non cambia, ma le parole non sono più le stesse”. Baudelaire è stato “vultaa in lèngua da Varés”. Quella lingua che a Sassi era impedita in casa (la mamma è stata insegnante elementare e non accettava altro che l’italiano) e che lui parlava con gli amici in oratorio, ora sta manifestando la sua vitalità nell’altra opera dell’autore francese, già interamente tradotta, ma continuamente rivista in ogni parola. Intanto sta già preparando la veste grafica, accattivante come nelle precedenti traduzioni.
Federica Lucchini