9° bollettino dagli arresti domiciliari, Cocquio Trevisago, 20/04/2021 (h. 14:30)
L’intervento chirurgico mal riuscito di trapianto di cornea all’occhio sinistro – fatta agli inizi di dicembre – mi ha portato spesso a rileggere e riflettere su un sorprendente brano evangelico poco conosciuto e un po’ misterioso. Eccolo:
«Giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa?”. Quello, alzando gli occhi, diceva: “Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano”. Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa» (Mc 8,22-25).
Prendo alcuni spunti di riflessione da un commento fatto dal Card. Gianfranco Ravasi (mio esimio docente di Sacra Scrittura in Seminario). Il brano è ambientato a Betsaida (in aramaico “casa dei pescatori”), la patria degli apostoli Pietro, Andrea e Filippo, villaggio situato sul lago di Tiberiade. Questo miracolo è piuttosto “sorprendente” perché mette in scena un Gesù che sembra non riuscire a guarire un cieco se non attraverso due interventi successivi.
Ma questo episodio porta con sé al tempo stesso, oltre all’ineludibile carattere “storico”, anche un significato “simbolico”. Gesù spalma la sua saliva sugli occhi del cieco, come farà a Gerusalemme con un caso congenito analogo (Gv 9,6). Impone poi le mani sul malato e attende l’esito che, però – almeno inizialmente – appare piuttosto “imprevisto”: il cieco comincia, sì, a vedere ma confessa di intuire le figure umane in maniera confusa, come se fossero “alberi in movimento”. Cristo, allora, ripete l’imposizione delle mani e… finalmente – ci mancherebbe altro – «egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa».
Certamente il fenomeno della “cecità”, è in sé una patologia fisica, derivante anche dalle infezioni oftalmiche purulente, provocate o aggravate dal sole incandescente, dal sudiciume, dal vento che sollevava polvere. Per questo sono molteplici le guarigioni evangeliche di ciechi (Mt 9,27-32; 20,29-34; Mc 10,46-52; Lc 18,35-43; Gv 9,1-7).
Ma è facile intuire che, essendo la luce un “simbolo” di Dio (1Gv 1,5) e di Cristo (Gv 8,12), la liberazione dalla cecità acquista un senso più profondo, messianico, tant’è vero che lo stesso Gesù, nel suo discorso programmatico nella sinagoga di Nazaret, non esita ad attribuire a sé il passo del profeta Isaia secondo il quale la sua missione comprendeva anche il ridare «la vista ai ciechi» (Lc 4,18), impegno che ribadirà come proprio e specifico ai discepoli del Battista venuti a interrogarlo (Mt 11,5).
L’episodio del cieco di Betsaida – dunque – comprende certamente un’allusione alla difficoltà nel “vedere” della fede. Essa può attraversare una fase preparatoria, quella appunto che intuisce “confusamente” la vera identità di Gesù. Ma alla fine raggiunge la piena luce, come accadde al cieco dalla nascita dell’episodio narrato dall’evangelista Giovanni: «Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “L’hai visto: è colui che parla con te!”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a Lui» (Gv 9,35-38).
Appena sarà possibile ripeterò per la seconda volta l’intervento oculistico di trapianto della cornea… e spero tanto che il secondo tentativo riesca, così potrò ritornare autonomo e riprendere a guidare l’auto! Ma – più di questo – chiedo al Signore la guarigione interiore, per poter vedere bene, come le aquile, con gli occhi della fede! «Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile,
corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,30-31).
Siete nel mio cuore! Uniti nella preghiera! Vostro, don Fabio