Il signor Guido. Lo chiama ancora così Angela Bosatelli, nonostante siano passati 60 anni da quando i genitori Lucia e Giulio avevano lasciato la cura del podere “Santa Trìnita” di Guido Morselli, lo scrittore, autore di saggi e romanzi conosciuti. Sono ricordi all’insegna della tenerezza e della gratitudine che presentano lo scrittore sotto un profilo umano inedito: “Ho passato un’infanzia meravigliosa nel parco con i miei fratelli. Senza nemmeno un giocattolo, ma così ricca di esperienze da segnarmi per sempre. Cosa potevo volere di più? E l’artefice di questo mondo era lui, con le sue ombre, le sue rare risate, ma soprattutto nel metterci a disposizione la possibilità di crescere nella natura e in mezzo a quelle piante da frutto che lui voleva molto curate. Era appagato nel vederle crescere rigogliose. Non voleva che mancasse loro niente. Ricordo che il suo piacere era legato esclusivamente alla vista dei bei frutti. Poi noi potevamo mangiarli, venderli. A lui non ciò non riguardava. Aveva creato un’azienda modello, di cui era orgoglioso e in cui lui si dilettava a sperimentare: volle gli asparageti, che seguì come fossero suoi figli. Alla mattina, ricordo, pur essendo piccola, scendevo a Gavirate e andavo a venderli a famiglie che me li richiedevano. Rivolgeva sempre molta attenzione a me -continua- Quando decise di piantare i capperi, trovò che la parete in sasso da cui scaturiva l’acqua di una fontanella vicino alla nostra casa fosse quella più idonea. Ed io ero incaricata ogni giorno di riferirgli della crescita guardando i buchetti tra un sasso e l’altro. Ero ubbidiente. Provavo affetto per lui che, nella mia innocenza, avevo intuito essere sofferente. Il giorno che finalmente li vidi spuntare corsi da lui: “C’è l’erba stamattina!”, gli gridai contenta. E lo vidi aprirsi in uno dei suoi rari sorrisi. E’ un ricordo che non riesco a scordare, come quando mi faceva salire sulla sua cavalla Zeffirina, un magnifico animale che adorava, curato da mio padre. In cambio non esigeva da noi il pagamento dell’affitto. Da notare la sua delicatezza: mi permetteva una passeggiata, quando ancora non aveva cominciato le sue innumerevoli corse nel podere. Sapeva che allora sarebbe stata sudata e non lo riteneva igienico per me. Lui scorazzava nel verde e in quei momenti sembrava felice. Spesse volte, quando giungeva dalla sua casa in via Limido a Varese, si fermava a pranzo da noi. Io gli preparavo la tavola, la mamma la polenta e i piatti bergamaschi. E lo vedevo sorridente, partecipe, nonostante fosse parco nel mangiare. Poi, al termine, si rivolgeva a me e per scherzo, contrattava il prezzo, così mi trovavo qualche soldino in tasca. Per noi, non era il padrone (questo effetto me lo fece suo padre, quando un giorno giunse a casa nostra vestito di bianco con un Panama in testa), ma sentivamo di dovergli tanto rispetto perché lui rispettava noi. Aveva momenti improvvisi in cui voleva dimostrarci di esserci vicino. Un giorno del 1956 -per me e mia sorella Fulvia senza un motivo apparente- ci fece salire sulla sua Lancia e ci accompagnò a Varese ad assistere alla proiezione del film “L’uomo che sapeva troppo” di Alfred Hitchcock; un’altra volta mi regalò una macchina fotografica. Certo, sono stata anche testimone delle sue inquietudini: tutti i giorni, prima di andare a scuola, alle 8, voleva che gli portassi il latte. Il ricordo ancora mi dà un senso di paura in base a come spalancava improvvisamente la finestra. Capivo che le sue notti erano tormentate. Per ben quattro volte aveva chiamato tecnici perché controllassero il tetto: diceva di sentire rumori fastidiosi. Ma non trovarono nulla. Erano i fantasmi della sua mente. Il rito della consegna della posta prevedeva che noi gli consegnassimo le missive arrivando sempre di fronte: spesso apriva le lettere, diventava triste e diceva “Non ho buone notizie”. Sapevo che non lo avrei più visto per diversi giorni. Più tardi ho capito che contenevano il rifiuto delle sue opera da parte degli editori. “Vedi, Angela -mi diceva- Tu sei fortunata: hai una bella mamma. La mia l’ho persa troppo presto”. E io capivo. Ecco perché a quell’uomo tormentato ho voluto bene”, termina.
Federica Lucchini
I genitori di Angela
Sulla destra Angela