– Una delle più autorevoli riviste internazionali nell’ambito della ricerca sulle cellule staminali ha dedicato attenzione ai risultati di una importante ricerca in cui un significativo ruolo ha avuto l’Anatomia Patologica dell’ospedale di Varese, guidata dal dottor Stefano La Rosa, residente a Barasso con la famiglia. Da lui sono state messe a disposizione e coordinate le tecnologie e le competenze maturate a Varese in anni di studio sulla morfologia delle lesioni causate dal diabete mellito nei diversi tessuti dell’organismo umano. A questa rilevante scoperta hanno collaborato anche l’ospedale San Raffaele di Milano e l’Harvard University di Boston. “Lo studio – spiega il medico – ha portato ad individuare un ormone che controlla la proliferazione delle cellule staminali intestinali nei pazienti con diabete mellito, una malattia frequente, che nell’80% dei pazienti sviluppa complicanze intestinali le quali influenzano significativamente la qualità della vita. Ora sono proprio queste complicanze che, impiegando la molecola scoperta in questo studio, possono essere potenzialmente prevenute e trattate. Il dibattito sulla ricerca scientifica – continua – in Italia è più che mai attuale, in particolare pensando ai risultati significativi che i nostri ricercatori hanno ottenuto anche recentemente lavorando qui e all’estero (si pensi all’osservazione delle onde gravitazionali, solo per citarne il più recente). Frequentemente la figura del ricercatore viene sovrapposta a quella di un professionista impiegato esclusivamente in laboratorio tra provette, pipette, microscopi per produrre dati comprensibili solo agli “addetti ai lavori”. E’ invece fondamentale, soprattutto in ambito biomedico, comprendere che sia gli stimoli al lavoro di ricerca sia i suoi risultati sono direttamente correlati al lavoro quotidiano del medico e del paziente. Gli studi partono dall’osservazione dei disagi del malato, continuano con la ricerca di strategie per alleviarli, proseguono con la validazione sperimentale delle soluzioni trovate e, infine, i loro risultati vengono impiegati per migliorare il trattamento dei malati stessi. In altre parole – prosegue il medico – la ricerca in questo campo parte dal letto del paziente e lì ritorna. E’ quindi facile comprendere l’immediata ricaduta pratica che la ricerca scientifica può avere e come senza di essa non siano possibili miglioramenti nella cura delle varie patologie. La ricerca è l’unica arma che può sconfiggere le malattie. “Naturalmente – riprende – la complessità della ricerca scientifica biomedica implica che gran parte degli studi non possano essere condotti in un singolo centro. La collaborazione tra diversi centri di ricerca , a livello nazionale e internazionale, consente di avere a disposizione un numero maggiore di casi da studiare, di tecnologie da impiegare, di conoscenze e di competenze da integrare. E’ per questo motivo che i ricercatori cercano di formare reti attraverso la quali scambiarsi dati e informazioni. In un gruppo collaborativo ogni componente è importante perché porta il proprio bagaglio di esperienza riguardo un particolare aspetto della ricerca. La forza del gruppo – conclude La Rosa – si basa principalmente sulla creatività di ogni singolo ricercatore, sulle competenze di analisi e sintesi di ciascuno e sulla capacità di integrare e coordinare le informazioni provenienti dalle diverse componenti. Questo conta molto di più della disponibilità di tecnologie avanzatissime. Per tale motivo anche da centri “periferici” è possibile far emergere idee e risultati di rilevanza internazionale”.
Federica Lucchini