“Miei amati, proprio una Via Crucis. Speriamo di non arrivare al Golgota e passare alla risurrezione. Vi raccomando di farvi sempre forza e coraggio nella fiducia di riabbracciarvi al più presto. Ma…”. Queste parole sono state scritte il 5 ottobre 1944 da Calogero Marrone, già capo dell’Ufficio anagrafe del Comune di Varese, dal campo di transito di Bolzano-Gries prima di essere deportato a Dachau. Come per Anna Frank, la sua sorte è stata segnata da un delatore, di cui non si è mai conosciuto il nome. Ma mentre per la ragazza la “colpa” era quella di essere nata ebrea, per lui è stata quella di aver salvato tante vite di ebrei e antifascisti, rilasciando centinaia e centinaia di documenti di identità falsi. Per questo atto di altruismo, il più puro e disinteressato, ha dovuto affrontare un destino da malebolge dantesche: dapprima torturato sotto interrogatorio, poi incarcerato nelle peggiori condizioni, infine trasportato nel campo di sterminio di Dachau, da cui non fece più ritorno.
Domenica 7 febbraio alle ore 17,30 in municipio, nell’ambito della celebrazione della giornata della memoria, grazie al comune, all’Anpi di Gavirate e Besozzo, all’associazione compagnia Duse, l’omaggio all’eroismo di Calogero Marrone, insignito nel 2012 del titolo “Giusto fra le Nazioni”, verrà rinnovato con letture e testimonianze tratte dal libro di Franco Giannantoni e Ibio Paolucci “Un eroe dimenticato” (Edizioni Arterigere). “Sia benedetta in eterno la Memoria di questo Giusto”, vi si legge sulla lapide apposta il 1° ottobre 1994 sopra l’ ufficio di Marrone all’interno del municipio di Varese per volere dell’avvocato Giorgio Cavalieri, salvato da Marrone. “Per noi ebrei – ha detto in un’intervista rilasciata agli autori – per il popolo ebreo, è stato un vero eroe, protagonista di una piccola storia nel terribile dramma, ma importante”. Agrigentino, di Favara, divenne il motore di una macchina inarrestabile all’insegna della salvezza di gente sul cui capo c’era una taglia, fino al 7 gennaio 1944, quando fu sospeso cautelativamente dal suo incarico “per l’accertamento delle eventuali responsabilità sull’irregolare rilascio di carte d’identità”. Due ufficiali tedeschi lo prelevarono dalla sua abitazione di via Sempione. Era stato avvisato del suo arresto “ma amava soprattutto la famiglia – ricordava il figlio Domenico – Per niente al mondo avrebbe voluto che, per causa sua, dovesse correre dei rischi. Sapeva la sorte che l’attendeva. Malgrado ciò rimase fermo al suo posto. In questo sta la sua grandezza”.
Nel contesto dell’incontro sarà inaugurata la mostra fotografica “Ricordare per non dimenticare”(fotografie e introduzione di Enzo Baccheschi sul campo di sterminio di Auschwitz) visitabile fino al 13 febbraio.
Federica Lucchini