MA C’E’ COSI’ TANTA SOLITUDINE?
di felice magnani
La solitudine può avere diverse facce. C’è la solitudine ricercata, quella che favorisce il giusto umore mentale per scrivere o pensare, c’è una solitudine non voluta, frutto di una esasperante condizione sociale, c’è poi quella desiderata, quella romanticamente creata dalle pene d’amore, che hanno bisogno di un inquieto turbamento interiore per partorire parole, gesti e frasi che altrimenti non sarebbero possibili. C’è poi la solitudine dei poveri che non hanno da mangiare, da dormire, una casa dove trovare conforto, la più inquietante, quella che ci pone ogni giorno di fronte al tema di chi ha troppo e di chi non ha niente, di chi porta i soldi nei paradisi fiscali e di chi deve tendere il palmo della mano o uno sdrucito cappello, sperando nella bontà di chi mette la mano nella tasca dei pantaloni per trovare un obolo da offrire. C’è poi anche la solitudine della sofferenza e quella della malattia, quando non sai più a chi rivolgerti per ottenere aiuto, per ricevere una parola di conforto e ti rendi conto che la vita ti abbandona, lasciandoti preda di un futuro incerto. Nella solitudine succedono moltissime cose che hanno quasi sempre come protagonisti i pensieri, i ricordi, le immagini, le cose belle e quelle brutte, le persone che hai incontrato, quelle con le quali hai collaborato, quelle che ti hanno teso una mano e quelle invece che sono scomparse, quelle che magari hai conosciuto appena, ma che in quell’appena hanno versato tutta la possibilità del loro amore. La solitudine che colpisce di più oggi è quella dei vecchi,che sono soprattutto genitori, nonni, uomini e donne che hanno lavorato una vita per rendere migliore quella degli altri uomini e che, all’improvviso, sono rimasti soli di fronte a un nemico invisibile, senza scampo. Per loro neppure la medicina più avanzata riesce a sottrarli a un destino impietoso, rimasti soli e lontani da visi e cuori ben conosciuti e amati. Quanto abbandono in questi tempi di coronavirus, quanti uomini e donne se ne sono andati in forni crematori e in cimiteri lontani, senza avere avuto accanto un gesto, un rito, una pietà, un ringraziamento da parte di chi li ha conosciuti e amati, quanta solitudine in quello spazio di tempo in cui hai più bisogno di sentirti amato, capito, sopportato, magari restando vicino ai tuoi cari, a coloro ai quali hai dato la vita. Siamo sicuri che la case di riposo siano la risposta più umanamente civile ai bisogni degli anziani? Siamo sicuri che vivere lontani dagli affetti familiari sia la strada giusta per rendere giustizia alla condizione umana? Siamo sicuri di essere in grado di saper leggere nel pensiero e nel cuore di un vecchio che magari sta zitto in silenzio per reticenza o per rispetto? Forse nel nuovo mondo del dopo Covid 19 ci dovrebbe essere posto per un ripensamento o per una presa di coscienza diversa, dove la vita, pur in tutta la sua fragilità, abbia sempre un momento in cui sorridere. La solitudine non conosce frontiere, sta nei paesi come nelle città, nei piccoli borghi come nelle in quelli più grandi, nei centri storici come nelle periferie, non guarda in faccia nessuno e soprattutto non fa sconti. Forse aspetta solo che la superciviltà tecnologica, così amata e propagandata, si renda conto la bellezza della vita sta anche altrove, dove le parole e i sorrisi aprono il cuore alla speranza, dove il vecchio è il simbolo di una società che sa riconoscere e apprezzare, mantenendo vivo nel cuore il bisogno di chi ha dato tantissimo e chiede forse solo di non dimenticarsi di lui.
LA DEMOCRAZIA DEI SUBLIMI
di felice magnani
In questi anni e in questi mesi soprattutto, il termine democrazia è stato seminato dappertutto, con la convinzione, forse, che bastasse evocarlo per ingraziarsi tutti qui bellissimi valori di cui si compone. Inutile ricordare che democrazia significa letteralmente governo di popolo, è quel sistema che respira in abbondanza la volontà di tutti, naturalmente rappresentata dagli eletti, da coloro che il popolo elegge per poter esprimere i propri bisogni e le proprie necessità. La democrazia non è un’invenzione, non è neppure una rappresentazione, è una costruzione complessa, che prevede una lunghissima e complicatissima serie di passaggi fondamentali che sono stati scritti per evitare che qualcuno potesse interpretarli a propria immagine, quindi soggetti a un’ applicazione sistemica e molto concreta. Capire un sistema, metterne bene a fuoco i significati palesi e reconditi, interpretare in modo corretto le parole, le frasi, un ordine, creare un corretto sistema relazionale con un pensiero che è comunque di natura retroattiva, con tutte le conseguenze del caso, non è per niente un compito facile, non lo è mai stato, perché ogni verità, per quanto assoluta o universale possa essere valutata in un certo periodo di tempo, contiene sempre una parte di disabilità temporanea, che va seguita con molto impegno e determinazione, per evitare che il tempo stesso e le mutate condizioni storiche e sociali possano destabilizzare o persino distruggere quanto scritto con la convinzione che la storia, anche quella giuridica o legislativa, fosse davvero inattaccabile e fissamente stabile rispetto agl’inevitabili passaggi del tempo, delle società e della storia. E’ così che in molti casi la nostra democrazia è stata insegnata poco e male, forse pensando che bastasse un giochetto di natura socio-linguistica per accomodarne stabilmente la longevità. Se n’è parlato nelle sue dinamiche più prettamente storiche, vincolate al principio del mantenimento, senza tenere forse in conto che a questo mondo non c’è nulla che possa rimanere inalterato per sempre e che, spesso, il cambiamento nelle su forme più logiche e razionali, è frutto di una naturalissima vocazione all’assestamento e al miglioramento sociale. Dunque non esiste una dittatura della democrazia, neppure quando chi la rappresenta la tratta come una serva o come una prostituta o come uno strumento nelle mani di un potere che si serve di tutto pur di mantenere intatta la propria sovranità. Insegnare la democrazia significa soprattutto dimostrarla concretamente nella vita di tutti i giorni, fare in modo che chi osserva e non conosce si renda conto di cosa significhi adottare un sistema che metta d’accordo tutti, nessuno escluso, per costruire una società davvero rappresentativa del bene pubblico. Io non butto il cicco di sigaretta per strada, perché così facendo manco di rispetto a chi passeggia e aspira a farlo camminando su strade ordinate e pulite. L’ordine? Ma è così importante l’ordine? E’ una delle componenti fondamentale della democrazia, di una democrazia che si pone delle domande, che cerca delle risposte, che mette in moto la propria coscienza, che s’interroga, che non dà mai nulla per scontato, che tende alla pulizia, alla bellezza, all’ordine, a dimostrare che anche il pubblico ha una sua dimensione privata, quella che riguarda tutti i cittadini, perché è da un impegno individuale e comune che il mondo comincia a cambiare in meglio. Se pensiamo che i cambiamenti ambientali dipendano esclusivamente dall’uso delle pale eoliche o dei telefonini, commetteremmo un atto di presunzione antidemocratica, perché la difesa dell’ambiente parte dalle piccole cose. In molti casi basta camminare nelle vie dei paesi per rendersi conto se l’amministrazione e i cittadini di quel paese fanno sul serio il loro dovere, basta osservare i marciapiedi, la sede stradale, l’ordine dei sentieri, la loro pulizia, l’arredo urbano,i comportamenti delle persone, il modo di relazionarsi, il tipo di collaborazione, le facciate delle case, le piazze, le fontane, la manutenzione dei giardini e dei parchi, la salute o il livello di povertà, è anche lì che la democrazia nasce, cresce e si consolida o implode. Quando la morale democratica sfugge per ignoranza, noncuranza o mancanza di insegnamento, diventa tutto più complicato, perché la prima cosa che pensa il cittadino è di poter fare tutto quello che vuole, perché tanto troverà sempre una via di fuga o una ragione personale per sanzionare quello che ha fatto e che continuerà a fare. Entrare nell’ordine dei diritti e dei doveri è un campo minato, ma allora dobbiamo chiederci come mai molti paesi del nord Europa abbiano un così grande livello di senso civico, un senso civico tutti devono concorrere in egual misura alla realizzazione del bene comune. Basta passare per le vie delle nostre città, con le montagne di rifiuti ai bordi delle strade, per capire come manchiamo di qualcosa di veramente profondo che ci orienti verso il bene pubblico, soprattutto quando non siamo visti, quando non c’è il carabiniere che ci tiene d’occhio. Dunque la democrazia va insegnata, vissuta, approfondita, applicata sempre, fin da quando i ragazzini mettono il naso nelle scuole. In democrazia qualunque cosa io faccia ha una ricaduta sociale, coinvolge direttamente gli altri, quindi devo essere cosciente di questo. E’ nell’impegno comune, soprattutto in quello educativo, che i diritti e i doveri prendono forma che diventiamo un esempio per agli altri, quelli che arrivano dalle nostre parti e hanno bisogno di imparare, di capire quali siano i comportamenti più adeguati. E’ da come ci comportiamo che gli altri impareranno a conoscerci, è dal nostro livello democratico che sapremo o non sapremo essere bravi educatori. Dunque una democrazia vissuta, insegnata da tutti, stato, società civile, scuola, famiglia, associazioni, una democrazia che viva quotidianamente con le persone e le accompagni nel loro cammino, dimostrando strada facendo quanto sia importante credere e realizzare valori comuni, quanto sia bello costruire ogni giorno un comportamento nuovo, più vero, più adatto, più capace di unire le persone nella conquista di un obiettivo comune. Dunque non appartiene a nessuno in particolare, non è un possesso o un oggetto da manipolare, una scatola chiusa da aprire solo quando fa comodo, ma è il frutto di un’intelligenza creativa che si muove continuamente, che coordina, modifica, definisce, insomma la democrazia è un bene politico in movimento. E’ politico proprio perché è nella polis, nella città, che il popolo esercita i suoi diritti e i suoi doveri, dentro una libertà che ne consente la massima espressione, ma sempre dentro dei limiti, oltre i quali la libertà creerebbe il fuoco dell’anarchia.
C’E’ SEMPRE QUALCOSA DA IMPARARE
di felice magnani
Uno degli errori più comuni che commettiamo è quello di pensare di sapere già tutto, oppure di essere talmente bravi da poter fare tutto quello che vogliamo, senza l’aiuto di nessuno. Niente di più falso, l’uomo infatti, per sua natura, ha sempre bisogno di qualcuno che gli dia una mano, anche quando crede di rivoltare il mondo con le proprie mani. Ha bisogno soprattutto di capire che è in uno stretto e collaborativo rapporto interpersonale con il mondo che impara a conoscere se stesso e chi gli sta di fronte. Rileggendo alcune delle interviste che ho avuto il piacere di fare nel corso della mia vita, ritrovo spesso il gusto di un approfondimento analitico e, strada facendo, mi accorgo di quanto quel mondo sia prodigo di pensieri, consigli, intuizioni e saggezze, al punto di meritare di essere rivisto con maggiore agio e tranquillità. E’ nella rilettura e nella riflessione che il mondo che abbiamo lasciato si risveglia e torna a essere propositivo, dimostrando che non c’è mai nulla di scontato o di passato e che la conoscenza viaggia anche attraverso una revisione di quello che abbiamo detto e di quello che abbiamo fatto prima. Tra gli atleti che mi hanno colpito in modo particolare c’è Filippo Inzaghi, il grandissimo centravanti della Juventus e del Milan, il calciatore che ha fatto impazzire i popolari e le tribune, dimostrando la bellezza del gioco più bello del mondo. Filippo l’ho scoperto strada facendo, seguendo le piste del mondo del calcio, al quale sono sempre stato affezionato. C’è stato un momento in cui mi son detto: “Ma non sarà mica il figlio di Giancarlo?”. Con Giancarlo sono cresciuto giocando ai caw boy e agl’indiani, costruendo capanne di fresche frasche e imitando i grandi campioni del mondo del calcio in infinite giocate a due nella via di casa. “Sì, era proprio il figlio di Giancarlo”. Improvvisamente mi è tornato in testa un mondo che avevo un po’ dimenticato, ma al quale mi sono sempre sentito fortemente legato, perché è stato quello delle prime scoperte, quando metti il naso fuori dalle lenzuola e ti rendi conto che c’è qualcosa di importante che sta cambiando. Dal ricordo all’incontro lo spazio è stato breve: telefonate, entusiasmi, stupori, sorprese, tutto si è ricomposto in una sorta di bellissima favola, dove scopri che la vita può sorprendere quando meno te lo aspetti e tu ne sei fiero, sei fiero che il figlio del tuo compagno di giochi sia diventato il più grande centravanti italiano. All’improvviso ti sembra persino di farne parte, di essere anche tu protagonista di una storia straordinaria. La mia intervista a Filippo è qualcosa di più di un’investigazione sportiva, è un po’ come riorganizzare il passato passando attraverso le sorprese del presente. E’ cordialissimo, non mi fa premura, risponde con pacatezza e intelligenza, anche là dove l’aspetto educativo dello sport diventa più forte del pallone. Una risposta me lo fa apparire ancora più grande di quello che ho imparato a conoscere sui giornali o alla televisione a proposito del calcio, qualcosa che si lega al suo carattere, all’educazione di una famiglia alla quale si sente fortemente legato. Alla mia domanda: “C’è qualcosa di innato nel destino di una persona oppure il destino è quello che ci costruiamo ogni giorno?”, ecco la risposta:
“Il destino è quello che ci costruiamo ogni giorno. Può essere che ti dia una mano, ma di solito non la dà mai per caso, dietro c’è sempre qualcosa che si lega all’impegno, alla volontà, alla voglia di farcela. Dico sempre ai miei ragazzi che dietro a ogni conquista c’è un grande lavoro, portato avanti con serietà e determinazione”.
Sono parole quelle di Filippo Inzaghi che hanno tutto il sapore di un mondo caldo e lontano, quando l’educazione dei figli era il centro dell’universo familiare e quando ogni piccola o grande conquista era frutto di milioni di gocce di sudore che davano il senso a un cammino, lo rendevano vivo, sollecito, pronto, capace di consegnare entusiasmi a chi lo sapeva percorrere. E’ piacevole sentire che il personaggio diventa educatore, affermando che la vita è una conquista e che nulla arriva per caso. La sua risposta è un sollecito amichevole alle giovani generazioni, alla loro energia, alla loro capacità di saper lottare per raggiungere l’obiettivo; il successo, infatti, non arriva mai per caso, è sempre frutto di un percorso fatto di passaggi non sempre facili, sorretti però sempre da una volontà che non si piega e che sa affrontare di petto le incrostazioni della vita.