– “Mamma, ritornerò”. Sotto, una grafia diversa: “Forse”. L’avvocato Giordano Muser di Varese ricorda nei particolari le sue camminate nella terra natale, la Carnia, lungo il confine italo-austro ungarico. Costituivano un momento particolare, commovente, perché lì tra i sassi ritrovava tracce di vita di tanti ragazzi che avevano combattuto durante il primo conflitto mondiale. E l’avevano persa. Sarà ritornato quel fante che aveva fissato su una pietra il suo desiderio di casa? Se lo chiede ancora oggi, mentre allestisce la mostra itinerante, costituita da residuati bellici, ritrovati anni fa. “Vivo come un dovere – spiega – il rinnovare il ricordo di quei ragazzi – perché tali erano – con i loro effetti personali anche più cari e delle loro mamme perché nessuno ha mai pensato a queste ultime. Settecentomila mamma italiane hanno dato i loro figli alla patria. A queste donne bisognava dare la medaglia d’oro! Solo una donna l’ha ricevuta: una donna della mia terra perché al momento del decesso risultava militarizzata. Si tratta di Maria Plonezr Mentil di 32 anni, mamma di quattro piccoli, di cui l’ultimo di sei mesi”. E’ una mostra di grande interesse e ogni pezzo cela la forte emozione di chi l’ha ritrovato. Come quell’elmetto sforacchiato nascosto in un anfratto, testimonianza di una vita volata via. Quando era bambino nel paese natale l’avvocato era chiamato con il suo nome, a cui veniva aggiunto “figlio di Antonio cieco e zoppo”. E questo ricordo, portato con orgoglio perché il padre aveva perso una gamba nella guerra in Africa orientale presso il lago Tana e un occhio costruendo l’aeroporto di Tirana, assieme alle gravi ristrettezze che aveva vissuto la madre bambina durante il primo conflitto mondiale, è la scintilla che ha dato inizio a questo suo percorso affettivo, che lo fa sentire vicino a quei soldati tutti contadini, che non avevano assolutamente in loro il concetto di violenza, costretti a imbracciare il fucile. “Lei immagina un contadino non abituato ai rumori che sente un colpo di cannone vicino all’orecchio? E poi i colpi di mortaio? Freddo, pidocchi, fame, urli. Come non ricordare i cosiddetti scemi di guerra, divenuti tali proprio per queste condizioni e mandati a casa senza cure perché i manicomi erano pieni? Il mio viaggio è un omaggio a tutte queste sofferenze dimenticate”, afferma. Gli alunni delle scuole di Cocquio, grazie all’iniziativa del comune e dell’assessorato alla cultura, rappresentato da Fernanda Ribolzi, hanno potuto apprezzare la mostra all’interno del loro edificio e hanno osservato i braccialetti artigianali, realizzati dagli stessi soldati per inviarli alle fidanzate. Ricavati dalle granate, portano spesso le loro iniziali. Solo un pezzo non è stato ritrovato in Carnia: è quel braccialetto lavorato con le iniziali S.B. consegnato all’avvocato da una donna di Mombello. “Secondo me – spiega – quella B. potrebbe rappresentare il cognome “Brunella”, che è molto presente ancora in paese”. Nell’ammirarlo trapela tutta la speranza e la nostalgia di casa. Accanto ci sono le borracce, gli elmetti, le gavette, le giberne. “Oggetti senza alcun valore offensivo che sono dei libri di umanità”.
Federica Lucchini