Laura De Bernardi, per conto della sezione Anpi di Gavirate, ha tenuto il discorso questa mattina ad Oltrona in occasione della celebrazione del 25 aprile. Erano presenti il sindaco Silvana Alberio che ha introdotto la manifestazione, la giunta comunale, il maresciallo Giacomo Indelicato, il capo della polizia municipale Lorenza Algiati, gli alpini, la filarmonica, i ragazzi di scuola. Ha benedetto don Mario Papa.
Il discorso integrale di Laura De Bernardi
“Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne […]
e per tali fini a praticare la tolleranza ed a vivere in pace l’uno con l’altro in rapporti di buon vicinato, ad unire le nostre forze per mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ad assicurare, mediante l’accettazione di principi e l’istituzione di sistemi, che la forza delle armi non sarà usata, salvo che nell’interesse comune, […]
abbiamo risoluto di unire i nostri sforzi per il raggiungimento di tali fini.”
Era il 26 giugno 1945 quando, a San Francisco, a conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Organizzazione Internazionale, i paesi membri firmarono, con questa premessa, lo Statuto che entrò in vigore il 24 ottobre di quello stesso anno.
Considerando che quasi tutti i Paesi del mondo hanno ad oggi aderito all’ONU la validità di questo trattato dovrebbe essere pressoché universale.
Purtroppo non è così.
Non è così perché oggi, a più cent’anni di distanza dall’inizio del primo conflitto mondiale e a più di settant’anni dalla fine del secondo, c’è ancora chi: “non conosce pace
lotta per mezzo pane
muore per un sì o per un no”.
Quindi diventa urgente prendere consapevolezza della nostra miseria di uomini piccoli e iniqui e da qui ripartire per creare un mondo in cui tutti possano vivere, in cui non ci sia bisogno di una Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che ha quasi settant’anni ma che è ancora troppo inascoltata se non addirittura ignorata.
Sandro Pertini, il 15 dicembre del 1958 (quando la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani aveva da poco celebrato i dieci anni di vita), ebbe a scrivere, a un giovane che gli chiedeva parole di conforto per continuare a credere negli uomini: “Sii sempre, in ogni circostanza e di fronte a tutti, un uomo libero e pur di esserlo sii pronto a pagare qualsiasi prezzo.
Ma tu cesserai d’essere un vero uomo libero, per divenire solo un libero animale egoista, abbandonato ai suoi istinti, se non ti adopererai perché libero come te sia il tuo vicino e se non comprenderai che gli uomini per essere liberi, è necessario prima di tutto che siano liberati dall’incubo del bisogno e se tu non ti preoccuperai perché i tuoi simili possano egualmente godere dei beni della terra.”
Oggi Papa Francesco ribadisce che ciò di cui “abbiamo bisogno” è “una solidarietà uni-versale”.
Io sono orgogliosa di essere cittadina italiana, di appartenere a un popolo che ha saputo alzare la testa e “resistere” agli oppressori.
Io sono orgogliosa di essere legata a una nazione che ha concepito una mirabile Carta Costituzionale.
Io sono altresì orgogliosa di essere cresciuta in un Paese che settant’anni fa, nel 1946, chiamò per la prima volta a votare le donne, quelle donne che, emozionate, stringevano “le schede come biglietti d’amore”.
Però mi sento e voglio più che mai essere anche cittadina del mondo: al fianco di chi si batte per il riconoscimento di diritti che gli sono negati e che dovrebbero essere inalienabili; al fianco di chi lotta contro la fame, di chi soffre umiliazioni e oppressioni.
Dobbiamo abbattere i muri, invece di erigerli; radere al suolo le differenze, invece di accentuarle; tenere gli occhi aperti e fissi, e smetterla di girarci dall’altra parte, anche quando quello che vediamo ci provoca un dolore abbacinante.
All’inciviltà degli altri noi abbiamo prima di tutto il dovere e poi l’obbligo di dare una risposta civile, spezzando le catene dell’egoismo, della prevaricazione e della suprema-zia.
Perché le guerre, la fame, la miseria la disoccupazione sono le materie prime con le quali si costruiscono le dittature.
I muri, le barriere e il filo spinato soffocano la libertà e uccidono la dignità; la violenza volta le spalle alla speranza.
Il sole della pace è oggi pallido e oscurato dalle nubi nere e gravide di tempesta dell’indifferenza, dell’inerzia, dell’emarginazione, della chiusura, del respingimento, del-la deportazione.
Ascoltiamo il monito di coloro che oggi sono contrari all’uso della violenza perché ieri hanno fatto la guerra.
La partigiana Ines Pioli (nome di battaglia “Rina”) ha detto che “La Resistenza e la Liberazione sono state una lotta, non una guerra. Perché noi la guerra non l’abbiamo di-chiarata, anche se l’abbiamo fatta. È stata una lotta per la libertà e per la pace”.
Nel dizionario c’è scritto che resistere significa “stare fermo e saldo contro una forza opponendosi senza lasciarsi abbattere, annientare, spezzare”.
Negli anni di guerra si resisteva anche tacendo, nel silenzio e con il silenzio.
Ma noi ora non possiamo tacere.
Dobbiamo gridare il nostro sdegno, il nostro disappunto; dobbiamo prendere le distanze da quegli atteggiamenti che sono lesivi della libertà e della dignità altrui.
Dobbiamo lottare e resistere.
Non possiamo dimenticare che la Resistenza è stata il ponte che ha portato l’Italia dal fascismo alla democrazia, dalla guerra alla pace, dall’ignoranza alla cultura, dall’arroganza alla giustizia.
Facciamo nostre le parole dello scrittore americano John Steinbeck, che già nel 1939, dalle pagine di un capolavoro letterario quale Furore, ha alzato un grido di protesta contro “l’inumanità dell’uomo contro l’uomo”.
“Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. […] allora sarò negli urli di quelli che si ribellano… e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la minestra è pronta. E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà nelle case che ha costruito… be’, io sarò lì.”
Prendiamo il passato e mettiamolo al servizio del futuro.
E facciamolo lasciandoci guidare dalla bussola della nostra Costituzione, tra i cui articoli dimorano il lavoro, la scuola, la cultura, l’ambiente, la sanità, i diritti civili, la pace.
Costruiamo così una società di cui andare fieri.
Sempre.
Affinché il sacrificio di tanti non sia dimenticato.
Mai.
Grazie.
Laura De Bernardi
Gavirate, 25 aprile 2016
Il mio 25 aprile