Abbà Pater: Giovanni Paolo II canta il Pater Noster
SAN GIOVANNI PAOLO II, IL PAPA EVANGELIZZATORE di Felice Magnani
In continuità con lo spirito giovanneo, con il “coraggio della modernità” montiniana e con l’etica del sorriso di papa Luciani, Karol Wojtyla prosegue l’opera ecumenica e missionaria della Chiesa di Roma.
Karol Woityla è nato a Wadowice il 18 maggio 1920. In giovanissima età è colpito da una serie di lutti che lasciano un segno profondo nel cuore del futuro papa. A nove anni, infatti, muore la mamma Emilia. Il fratello maggiore, Edmund, muore nel 1932, all’età di ventisei anni. Il papà, Karol Wojtyla senior muore nel 1941. Il giovane Karol, detto Lolek, è un ragazzo con una intelligenza geniale e dinamica, basti pensare che all’età di tredici anni fonda un’associazione mariana con l’aiuto di uno dei suoi insegnanti. Amante della letteratura e del teatro, fonda una piccola compagnia di arte drammatica. Gli piace moltissimo cantare, recitare versi ed è uno sportivo di talento. Gioca a calcio, nuota, è bravissimo nello sci. La passione per lo sci la conserverà anche quando verrà eletto papa. E’ creativo, un ragazzo che potrebbe intraprendere qualsiasi carriera. Supera l’esame di baccellierato con il massimo dei voti. Nel frattempo per la Polonia iniziano tempi molto duri. La Germania sta infatti preparando un esercito potentissimo. Hitler proclama che il territorio polacco è vitale per l’espansione della razza germanica. Il 1° settembre 1939 inizia per la Polonia una grande tragedia: duemila aerei della Luftwaffe bombardano tutti i nodi ferroviari e stradali, mettendo in crisi la vita stessa della nazione polacca. Il 17 settembre la Russia invade la Polonia con la scusa di proteggere le sue minoranze. Ha inizio l’eliminazione degli Ebrei. Karol si trasferisce da Cracovia a Wadowice. La Germania hitleriana stermina quattro categorie di persone: gli intellettuali, i nobili, il clero e gli ebrei. E’ un massacro. Presso la cittadina di Oswiecim, chiamata dai tedeschi Auschwitz, viene aperto un campo di sterminio. Nel frattempo Karol per evitare la deportazione lavora come operaio nelle cave di Zakròwek e successivamente negli stabilimenti chimici di Solway. Partecipa alla lotta clandestina. Aiuta gli ebrei, nascondendoli nella sua casa e condividendo con loro quanto dispone. Dà vita a una compagnia teatrale, per aiutare i lavoratori a conservare l’unità e la fiducia nei valori patriottici. In questo periodo Karol frequenta la casa di un grande cristiano insieme ad amici. Lì prega e si rafforza nella fede. Divide il lavoro materiale con la parrocchia dei salesiani. Continua nel frattempo il massacro degli ebrei. Il ghetto di Varsavia viene circondato e al termine di un tragico massacro si contano oltre cinquantaseimila cadaveri. E’ in questo drammatico tempo di guerra per la nazione polacca che Karol Wojtyla prepara la sua strada al sacerdozio. Viene ordinato il 1° novembre 1946 dal cardinale Sapieha, figura carismatica della chiesa cattolica polacca. Nel frattempo continua a studiare, predica, scrive composizioni teatrali. Canta nelle corali e dedica parte del suo tempo libero allo sport, in particolare allo sci e alla canoa. E’ vicino il tempo del suo invio a Roma per un ciclo di studi. Il cardinale Sapieha, infatti, ha deciso per lui gli studi teologici nella città eterna.
Maria Winowska, che ha lavorato accanto a Wojtyla per quindici anni, testimonia:
“A tarda notte, in qualsiasi ora, il cardinale Wojtyla apriva adagio la porta della cappella, restava un istante in raccoglimento, poi cadeva letteralmente in ginocchio davanti alla prima stazione della via crucis. Mani giunte, capo chino, atteggiamento di chi è entrato in contatto con Dio. Nessuno sforzo per entrare in sintonia con la Passione di Cristo, sulla strada del Calvario Karol viaggia attraverso l’Europa, è in Francia e in Belgio, dove si interessa alla Gioventù Operaia Cristiana. E’ un’ esperienza formativa che gli fa capire quanto sia importante lottare per una maggiore giustizia sociale, per una caratterizzazione umana del mondo del lavoro. Nel frattempo la Polonia finisce sotto il durissimo regime comunista sovietico. Arcivescovo di Varsavia viene nominato una figura di spicco del cattolicesimo polacco, Stefan Wyszynski, che cerca di difendere la libertà religiosa dei cattolici. Nel frattempo il comunismo cerca a tutti i costi di smantellare l’organizzazione cattolica, colpendola nei suoi gangli vitali. In questo regime di oppressione morale, psicologica e materiale, Karol non diminuisce la sua spinta ecclesiale, di fatto continua a insegnare nel Seminario di Cracovia e nel 1954 diventa professore di filosofia. Karol è un giovane che ha un forte ascendente sui giovani e sui lavoratori. La sua convinzione religiosa, il suo vivere con entusiasmo e con gioia l’esperienza umana e sacerdotale, il suo amore per l’attività sportiva lo fanno amare. A quasi quarant’anni il vescovo Wojtyla partecipa infatti alle remate sui laghi, a gare di sci, a gare di nuoto e a partite di football, esprime la sua fede con tutta l’umanità di cui dispone. Continua nel frattempo la lotta del potere comunista contro la chiesa polacca, una lotta condotta senza esclusione di colpi. (PAPA WOJTYLA La prima biografia completa – Teresio Bosco – Editrice ELLE DI CI):
“…Nel 1961, alla frontiera,sono bloccate 50 mila copie della Bibbia, regalo di Papa Giovanni al popolo polacco. Il capo della polizia, ai vescovi che protestano, risponde: “Di Bibbie in Polonia ce ne sono fin troppe…”.
A quarantadue anni, l’11 ottobre 1962, Karol Wojtyla partecipa insieme al cardinale Wyszynski e ad altri tredici vescovi polacchi al Concilio Ecumenico Vaticano II. 2498 vescovi giungono a Roma da ogni parte del mondo per preparare il nuovo volto della Chiesa. Si impegna a redigere un documento fondamentale: La Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et Spes), dove tratta di argomenti come la pace, la cultura, la dignità della persona umana, il matrimonio e la famiglia, la vita economico-sociale.Il nuovo papa, Paolo VI, il 30 dicembre 1963 nomina Wojtyla “arcivescovo metropolita” di Cracovia.
“A Cracovia – testimonia Maria Winowska – l’arcivescovo Wojtyla non prendeva alcuna decisione senza prima averla esaminata e pensata in ginocchio. Poi consultava gli amici, sacerdoti e laici. Aveva il meraviglioso dono di saper ascoltare. Molti lo chiamavano confidenzialmente: “zio”, e non occorreva mettersi i guanti per dirgli che non si era d’accordo con lui. Eppure questa familiarità non oltrepassava mai i limiti del rispetto dovuto al Vescovo. Per Wojtyla la preghiera è come il respiro. I suoi intimi sanno bene che le sue lettere pastorali, i suoi messaggi furono sempre scritti davanti al tabernacolo. Taluni discorsi che pronunciò durante il Concilio Vaticano furono scritti in ginocchio. Quanti lo hanno visto o udito, sono sempre rimasti colpiti dalla tranquilla forza che emana anche dal più semplice dei suoi gesti, delle sue parole. Gesti e parole in lui sono radicate nella preghiera”. (PAPA WOJTYLA La prima biografia completa – Teresio Bosco – EDITRICE ELLE DI CI)
Karol Wojtyla vede, nel sacerdote, Gesù Cristo. Ecco come ne parla in occasione della beatificazione di padre Kolbe:
“Oggi si discute su che senso abbia il sacerdote nella società. Padre Kolbe ci ha insegnato questo “senso” con la sua vita e la sua morte: vivere non per sé, ma per gli altri; dare la propria vita per gli altri. E questo non si può fare se non si crede nella profonda dignità e grandezza di ogni uomo, dignità e grandezza che stanno alla base della giustizia sociale e della pace. Questa è la missione di ogni prete, ciò che dà senso alla sua vita”. (PAPA WOJTYLA La prima biografia completa – Teresio Bosco – EDITRICE ELLE DI CI)
Il 29 maggio 1967 viene nominato cardinale da Paolo VI. Ha quarantasette anni ed è uno dei più giovani cardinali della Chiesa di Roma.
“La Chiesa, dice Wojtyla, deve battersi per l’uomo, perché la causa dell’uomo è la causa stessa di Dio: la giustizia, la libertà, la pace sono diritti di ogni uomo, perché ogni uomo ha la dignità di figlio di Dio. Il marxismo che nega all’uomo la libertà dello spirito e lo considera materia organizzata, e la frenesia del consumismo prepotente che umilia la dignità dell’uomo e ugualmente lo considera un puro essere materiale, sono entrambi nemici dell’uomo, perché distruggono la su dignità e grandezza. <Solo Cristo sa cosa c’è dentro l’uomo>. Uno dei <metodi> che Wojtyla rifiuta assolutamente in questa “battaglia per l’uomo” è la violenza, che nasce dall’odio. Quasi ripetendo le parole di padre Kolbe morente nel campo di sterminio, afferma :<Solo l’amore costruisce. L’odio distrugge. L’odio non costruisce niente. Può solo disgregare. Può disorganizzare la vita sociale, può tutt’al più fare pressione sui deboli, senza però edificare nulla>”. (PAPA WOJTYLA La prima biografia completa – Teresio Bosco – EDITRICE ELLE DI CI)
Il 6 agosto 1978 muore Paolo VI e da tutto il mondo arrivano a Roma i cardinali per il Conclave, che dura pochissimo. Viene eletto papa Albino Luciani, Patriarca di Venezia. Appena eletto disse ai cardinali elettori : “Dio vi perdoni per ciò che mi avete fatto”. Dopo soli trentatré giorni, Giovanni Paolo I muore. I cardinali sono di nuovo a Roma per il Conclave.
Ecco cosa fa Karol Wojtyla poco prima di chiudersi là dentro:
“7 ottobre. Sta per aprirsi il Conclave, e Wojtyla prima di chiudersi là dentro ha voglia di fare una bella camminata, che sia anche un pellegrinaggio alla Madonna. Va in pullman fino a Capranica Prenestina, poi sale a piedi al Santuario della Madonna della Mentorella. Dodici chilometri di salita, fino a un’altezza di mille metri. Il Santuario è tenuto da alcuni religiosi polacchi. Abbracci, una lunga sosta in preghiera davanti alla Madonna, poi la discesa. I pochi giorni che precedono il Conclave, Wojtyla li passa con 23 studenti del Collegio polacco. <La mattina dell’ultimo giorno – scrive Franca Zambonini – s’è svegliato presto, come al solito. La sera prima, una dolce serata dell’ottobre romano, lo avevano sentito sulla terrazza, recitare il rosario insieme con il segretario, passeggiando tra i vasi di crisantemi bianchi. S’è svegliato presto, ha fatto di corsa, col suo passo da sportivo, i 51 gradini che portano alla cappella, e alle sette ha celebrato la Messa insieme a una ventina di sacerdoti>”.(PAPA WOJTYLA La prima biografia completa – Teresio Bosco – EDITRICE ELLE DI CI)
La sera del 16 ottobre 1978, Karol Wojtyla viene eletto Papa.
KAROL WOJTYLA E il Sacro Monte di Varese
2 novembre 1984: un quarto di secolo fa
la visita di Giovanni Paolo II
Il pellegrinaggio di Karol
Ecco ciò che disse il papa polacco quel giorno dal balcone del Mosè dopo la salita della via Sacra con il cardinale Martini e monsignor Macchi in mezzo a una folla di fedeli. Sono trascorsi 25 anni dalla visita di Giovanni Paolo II al Sacro Monte di Varese. Crediamo di fare cosa gradita ai lettori ripubblicando il testo del discorso che il papa tenne in quell’occasione dal balcone del Mosè dopo la salita al santuario di Santa Maria del Monte compiuta in compagnia del vescovo Pasquale Macchi e del cardinale Carlo Maria Martini in mezzo a una folla di fedeli. Le cronache ricordano che venerdì 2 novembre 1984 era una giornata calda e luminosa, il borgo imbandierato con i colori papali, duecento giornalisti accorsi a Varese da tutto il mondo per seguire in diretta l’escursione del pontefice polacco sulla montagna sacra varesina. Ci fu un imponente concorso di folla. Non un angolo libero lungo tutta la Via Sacra. Ecco, dunque, quel che disse Karol Wojtyla quel giorno ai fedeli di tutto il mondo.
Signor cardinale, autorità tutte e cari cittadini qui convenuti!
Sono lieto di iniziare il mio pellegrinaggio ai luoghi legati alla memoria di san Carlo Borromeo, nel quarto centenario della sua morte, da questo Sacro Monte, che è il luogo più significativo per natura, arte, storia e religione di Varese, e che col suo santuario e con le sue cappelle, dedicate ai misteri del santo Rosario, è meta di numerosi pellegrini.
Porgo il mio saluto cordiale all’arcivescovo di Milano, cardinale Carlo Maria Martini, al signor sindaco e al rappresentante del governo e li ringrazio per le loro parole di benvenuto; saluto con speciale pensiero anche l’arciprete di Santa Maria del Monte, monsignor Pasquale Macchi, le autorità presenti, il clero, i religiosi e le religiose della città di Varese e dei luoghi circonvicini, e rivolgo il mio saluto riconoscente a tutti voi che siete qui convenuti e all’intera popolazione di Varese e del Varesotto.
Ho sentito la necessità di compiere questo pellegrinaggio straordinario, sia per onorare san Carlo, vero gigante nella storia della Chiesa, sia per ritornare alle fonti della sua vita e del suo insegnamento, termine di confronto valido per la vita cristiana di oggi. Infatti la personalità di san Carlo è incancellabile dalla Chiesa: già durante la breve esistenza – una vita di appena 46 anni, di cui una ventina trascorsi come arcivescovo di Milano – ma soprattutto dopo la scomparsa, l’influsso del suo esempio e del suo metodo pastorale si sparse con profonda efficacia per tutta la Chiesa, orientando nell’applicazione dei decreti del Concilio di Trento in un periodo particolarmente difficile e contrastato, tanto che egli fu ritenuto la figura più eminente della Riforma cattolica.
Egli ci è tuttora maestro, guida, ispiratore. Giustamente è stato detto che “sono più vantaggiosi per il mondo quelli che pregano che quelli che combattono” (Juan Donoso Cortes) e che “la Chiesa non ha bisogno di riformatori, ma di santi” (Georges Bernanos)! Ebbene, san Carlo proprio ai cristiani di oggi ricorda le verità supreme ed eterne, che Cristo è venuto a rivelarci e che la Chiesa insegna; anche alla società moderna egli ribadisce che, se si cancella la fede in Dio, viene a spegnersi fatalmente anche la speranza. San Carlo esorta e insegna a pregare e ad impegnarsi seriamente nell’opera della santificazione personale.
Iniziando il mio itinerario spirituale con la recita del Rosario lungo il pendio di questo monte in cui tutto ci parla della Vergine santissima, voglio sottolineare una delle caratteristiche principali di san Carlo, e cioè la sua devozione mariana. Come sapete, la tradizione dice che sant’Ambrogio si recava spesso su questo monte per pregare, all’epoca delle lotte contro gli Ariani, e che qui avrebbe fatto edificare un altare dedicato a Maria. Il santuario di Santa Maria del Monte è molto posteriore: i documenti circa i pellegrinaggi risalgono al secolo XII, e l’epoca aurea si ebbe nel 1500 con la fondazione del monastero annesso, per opera delle beate Caterina e Giuliana.
San Carlo vide in questo luogo benedetto un segno speciale della protezione di Maria su queste terre e una difesa contro le eresie del tempo; promosse l’antica pratica dei pellegrinaggi, purificandoli da alcuni disordini e abusi; volle che all’ora del vespro si recitasse ogni sera la “Salutazione angelica” e si cantasse la “Salve Regina”; venne qui più volte pellegrino, e con la visita pastorale compiuta nel 1574 portò un radicale mutamento nella situazione del clero e nella legislazione del monastero delle Romite ambrosiane, affinché sempre più e sempre meglio il santuario fosse per i fedeli fonte di grazie divine e stimolo alla perfezione.
Dopo la sua morte, sorse questo complesso mirabile: infatti nel 1605, a opera del padre cappuccino Gian Battista Aguggiari, della badessa Tecla Maria Cid e dell’architetto Giuseppe Bernasconi, e con l’approvazione e la promozione del cardinale Federico Borromeo si diede inizio alla costruzione delle quattordici cappelle del santo Rosario, che, intervallate da tre archi, uno dei quali è dedicato a san Carlo, portano dolcemente lungo il viale al santuario, permettendo così la preghiera e la meditazione dei misteri della vita di Cristo. La costruzione del Sacro Monte sopra Varese fu certamente ispirata dalla devozione a Maria di san Carlo: essa richiese praticamente quasi un secolo di lavoro (1605-1690) e fu opera di tutto il popolo; mirabile monumento di architettura, di scultura, di pittura, esso è espressione di viva e profonda religiosità cristiana e mariana.
Da questo luogo così suggestivo e così mistico, dobbiamo ricavare il prezioso insegnamento di san Carlo circa la devozione a Maria. Egli che – come scrive il suo primo biografo Carlo Bascapè – ogni giorno recitava in ginocchio l’Ufficio divino e quello della beatissima Vergine e che in qualsiasi posto si trovasse, anche fangoso, si inginocchiava per terra, quando sentiva il suono dell’Angelus, esorta pressantemente alla devozione e all’imitazione di Maria, per essere cristiani autentici e coerenti, in una prospettiva soprannaturale e ultraterrena della vita. Meditando sull’annuncio dell’angelo, egli diceva: “Rallegrati anche tu, o anima, rallegrati del mistero, rallegrati con le parole della Madre, che è regina e maestra del genere umano: “Magnificat anima mea Dominum”. Anche la nostra anima magnifichi il Signore; lo anteponga ad ogni cosa; non tenga in alcun conto onori, ricchezze, vantaggi del mondo, piaceri; esulti in Dio nostro Salvatore. Ogni altro godimento non vale nulla. Riflettiamo che Dio ama l’umiltà, che gli umili sono innalzati, che nulla è più alto dell’umiltà”.
Veramente Maria è regina e maestra del genere umano e ci insegna la fiducia in Cristo e nella Chiesa, l’impegno nella carità, lo zelo apostolico, lo spirito di mortificazione, l’attesa del paradiso. Certamente – come scrisse nella Marialis Cultus (n. 57) Paolo VI, che fu molte volte pellegrino a questo santuario come arcivescovo di Milano – “Cristo è la sola via al Padre; Cristo è il modello supremo, al quale il discepolo deve conformare la propria condotta, fino ad avere gli stessi suoi sentimenti, vivere della sua vita e possedere il suo spirito… Ma la Chiesa riconosce che anche la pietà verso la beata Vergine, subordinatamente alla pietà verso il divin Salvatore e in connessione con essa, ha una grande efficacia pastorale e costituisce una forza rinnovatrice nel costume cristiano” (Pauli VI, Marialis Cultus, 57).
Eliminando la speranza cristiana, si cade fatalmente nella confusione e nella contraddizione, perché si cerca il senso della vita in modi diversi e contrastanti; non volendo accogliere la luce di Cristo, molti si condannano a camminare nel buio delle tenebre. San Carlo ci esorta a confidare in Maria, a pregarla, specialmente con la recita del Rosario, per far fronte all’impeto degli errori e delle tentazioni, per essere – come vuole il divin Maestro – luce del mondo e sale della terra.
San Carlo ci aiuti, in questi propositi! San Carlo ci infervori nella vita di sequela a Cristo per Maria! Quanto sono eloquenti ancor oggi le sue parole: “Regina degli angeli, ottieni per noi dal tuo Figlio, dispensatore di ogni bene, che noi imitiamo la natura degli angeli nella purità della vita, nella lode continua e perseverante, nel continuo rendimento di grazie. Che noi possiamo, infiammati di carità, essere luminosi, risplendendo davanti agli uomini; che ci sia concesso di ardere di amore celeste; di disprezzare, con gli occhi fissi al cielo, le cose terrene; di elevare in alto i nostri cuori; di avere il gusto delle cose di lassù. Che noi possiamo, aspirando alla patria eterna, giungere nella tua beatissima dimora col Dio uno e trino, insieme a te, Vergine e Madre santissima, e possiamo godere delle innumerevoli schiere degli angeli e dei santi. Aiutaci, aiutaci con le tue preghiere!”.
© Copyright 1984 – Libreria Editrice Vaticana
San Carlo Borromeo
“…Ho sentito la necessità di compiere questo pellegrinaggio straordinario, sia per onorare san Carlo, vero gigante nella storia della Chiesa, sia per ritornare alle fonti della sua vita e del suo insegnamento, termine di confronto valido per la vita cristiana di oggi…”
“…L’EDUCATORE E’ UNA PERSONA CHE “GENERA” IN SENSO SPIRITUALE…”
Spesso nella Chiesa di Roma si incontrano due aspetti che non sono sempre sintonici, perché uno è più legato alla temporalità, eredità di un sistema che ne ha caratterizzato istituzionalmente la storia, l’altro è di tipo provvidenziale, legato alla presenza dello Spirito Santo, che sovrintende l’azione umana. Dunque azione umana e azione divina concorrono a definire e a delineare l’evoluzione storica della Chiesa. Nel corso della storia, infatti, materia e spirito, pensiero umano e pensiero divino si sono spesso alternati, sovrapposti e hanno generato varie forme di alterazione. In molti casi la politica delle cose umane si è sovrapposta a quella delle cose divine, al punto che in alcuni momenti si è pensato che ci fosse un vizio di forma tra la Chiesa stessa come istituzione gerarchica e il Vangelo di Cristo. I papi sono stati, in molti casi, espressione di questa irrisolta dicotomia. Papa Giovanni Paolo II ha superato queste forme di posizionamento ideologico e teologico, ricreando la formula della continuità evangelica attraverso una perseverante azione pastorale nel mondo. Ha abbracciato la relazione e la formula di un cristianesimo itinerante come modalità di affermazione della fede. Un papa che ha toccato il cuore dell’uomo, semplicemente perché ha adottato la parola di Cristo come metodo di approccio educativo alla persona e al mondo. Un papa che si è posto sotto la protezione della Vergine Maria, cosciente della sua capacità di osservare il mondo alla luce di quella maternità che suggerisce straordinari esempi di vita nella storia del pensiero antico e moderno. Giovanni Paolo II ha rafforzato la svolta conciliare dei suoi predecessori, affermando con l’esempio che il segreto della credibilità cristiana sta nella volontà di sapere mettere in pratica la vita di Cristo, una volontà magistralmente supportata dall’educazione materna di una mamma speciale, proiettata alla salvezza del mondo insieme a suo figlio. Nel pensiero e nella catechesi pastorale di Karol Wojtyla ha sicuramente pesato la figura della mamma, morta quando lui aveva soltanto nove anni. Avrà di certo trovato nella fede un motivo in più per adottare il magistero materno come guida educante per la Chiesa. Con il papa polacco si torna alle radici storiche della politica conciliare di Giovanni XXIII, fondata su una Chiesa vicina all’uomo ovunque nel mondo, una Chiesa impegnata nel grande slam della evangelizzazione, capace di capire e interpretare l’uomo e le sue esigenze, accompagnandolo in un faticoso cammino di riappropriazione materiale e morale, sottraendolo alla sudditanza della povertà, una Chiesa dunque capace di parlare un linguaggio semplice, di offrire esempi di sobrietà e di costruire una presenza e una speranza soprattutto là dove il pessimismo e la disperazione regnano sovrani. La parola di Cristo emerge nella sua universalità, in tutta la sua storica e contemporanea vitalità, restituendo al disorientamento dell’uomo la forza di una fede capace di restituire sul piano umano quella dignità che il mondo terreno toglie, perché ha perso il rispetto della condizione umana. Nel discorso del papa, sulla piazzetta del Mosè, al Sacro Monte di Varese, si evince la forza suadente di un pastore al quale non sfuggono mai i due pilastri della Chiesa di Roma: Gesù Cristo e la Vergine Maria. Il mistero della Santissima Trinità si offre all’uomo come esempio, sostegno e finalità. Si riaccende il mistero della risurrezione, la speranza che consente all’uomo di guardare in fondo non come al termine ultimo di una esistenza destinata a scomparire, ma come arrivo e punto di partenza per l’altra vita, quella che si immerge nella luce divina, nella contemplazione e nell’ adorazione del Padre. L’azione del papa è il segno visibile di una fede che si accompagna ai cambiamenti e alle innovazioni, per ricordare all’umanità i suoi limiti, i suoi bisogni e le sue necessità. Papa Giovanni Paolo II ha fatto uscire il meglio di sé dalla cultura della vita nel mondo, è riuscito a scuotere frustrazioni, schiavitù, povertà di vario ordine e grado, ha parlato al cuore dell’uomo, invitandolo a non avere paura, ad affermare con l’esempio i valori della vita cristiana. Per la prima volta la Chiesa di Roma offre le sue chiavi a un sacerdote straniero, a un operaio, un uomo che ha vissuto la vita in tutta la sua umanità e drammaticità. Per la prima volta la Chiesa di Roma attraversa il mondo, portando una voce, un sorriso, una speranza di risurrezione soprattutto là dove l’uomo ha bisogno di essere sostenuto, amato, difeso e promosso. La presenza nella storia di Giovanni Paolo II ha un che di profetico, di straordinariamente umano e divino insieme. La sua immagine è stata taumaturgica e contagiosa. Karol è l’uomo di chiesa che ha contribuito in modo determinante alla caduta del comunismo, là dove le sue radici erano solide e profonde, dove l’umanità viveva varie di forme di schiavitù. Giovanni Paolo II è stato il testimone di Cristo che ha contribuito in maniera decisiva a far crollare l’impero e le sue utopie, restituendo alla civiltà la sua libertà, ai popoli la loro dignità, al diritto la sua espressione. Una fede dunque radicata e profonda, figlia della cultura popolare polacca ha contagiato il mondo, regalandogli spiragli di nuove idealità. Un papa, Wojtyla, che ha intimamente vissuto i drammi personali e quelli della storia, senza mai perdere il filo della speranza, senza mai perdere quel sorriso che ha animato di nuova fiducia il mondo cristiano e quello non cristiano. L’ecumenismo di Giovanni Paolo II è stato una grande abbraccio fraterno, la certezza che la diversità si contempera e trasforma quando si muove dalla certezza che l’uomo è figlio di Dio, creatura fatta a immagine e somiglianza di Colui che ha voluto donare il proprio amore, incarnandolo. Dunque un papa educatore, che riesce a sciogliere il desiderio di amore della natura umana in ogni angolo del pianeta, ponendo le basi di una riflessione profonda sulla vita, sulla pace, sulla libertà, su quei valori che hanno fatto del cristianesimo la più grande rivoluzione della storia. “Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo, e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera. Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo. Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi della cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui sa”. Con queste parole Giovanni Paolo II esprime la sua catechesi a circa quattrocentomila persone convenute sulla piazza di San Pietro, domenica 22 ottobre. E’ l’urlo liberatore di chi ha provato sulla propria pelle la schiavitù morale e materiale, di chi ha lottato per restituire all’uomo la sua libertà e la sua dignità. E’ il passaggio fondamentale che porta alla costruzione dell’uomo nuovo, capace di trovare dentro di sé la fiducia e la fede necessarie per uscire dalla schiavitù dell’ignoranza, della dipendenza, da ogni forma di subalternità subita. E’ l’urlo di un papa che indica l’unica via possibile per restituire al mondo la sua capacità di costruire una dimensione nuova dell’esistenza, fondata sulla certezza che i valori cristiani sono la base sulla quale innalzare la propria esistenza. Non avere paura significa innanzitutto modificare quella mentalità perdente sulla quale vari sistemi hanno costruito la loro dominanza, essere coscienti che ogni essere umano è segno visibile della infinita generosità divina e che ciascuno è chiamato a essere testimone vivente del grande mistero della vita. Si tratta di una profonda rigenerazione di pensiero e di costume, di fede e di dottrina sociale. L’uomo nella sua immagine globale diventa artefice di un cambiamento, che trova nella speranza cristiana lo strumento ideale della sua risurrezione. Non avere paura significa avere il coraggio di essere testimoni della fede e della parola in un mondo sempre più teso ad annientare l’anima, lo spirito pensante, la vocazione alla spiritualità che è parte integrante della libertà cristiana. Non avere paura di denunciare il male, di prendere le distanze da chi sfrutta le risorse umane per arricchire se stesso, da chi strumentalizza la vita per ridurre l’uomo in uno stato di perenne mortificazione umana, morale e materiale. E’ un modo molto più caratterizzante di affermare i valori e di applicarli, di aprire le porte di una conoscenza ampia e approfondita della realtà, di sentirsi protagonisti insieme a Cristo e a Maria di un cammino teso a far risplendere il valore della verità, di evitare la sudditanza a un male che tende a distruggere la bellezza della vita umana e delle sue finalità. Giovanni Paolo II è l’apostolo itinerante che supera il rigido schema confessionale, che sceglie la via di una comunicazione viva e diretta, che si avvicina all’uomo ovunque esso sia per documentare con l’esempio della parola, del gesto, dell’azione il senso della paternità di Cristo. E’ in questa chiave antica e sempre innovativa che il Vicario si mescola all’umanità per cercare di risvegliarla, di esorcizzarla dalla servitù perenne, per restituirle un’immagine, una identità, per ridare forma e sostanza al grande dono della vita. E’ in questa direzione che Giovanni Paolo II ricostruisce un’ idea di chiesa meno dogmatica, meno rigida, meno strutturale, ma più vicina alle attese della gente comune, di quella che attende da secoli una liberazione da tutti i vincoli che l’hanno ridotta in schiavitù. E’ nella cultura della libertà e del coraggio che le parole del papa confermano e amplificano, fino a scardinare le utopie ideologiche e filosofiche costruite dall’uomo per annientare il suo simile, per innalzare la cultura della prepotenza e della prevaricazione. Un risveglio universale verso la pace, la fratellanza, la comprensione e la solidarietà. Un risveglio che non è solo figlio di una cultura pensata, ma di una millenaria testimonianza di cultura cristiana. Il papa polacco ha il dono della comunione elettiva. La sua persona, i suoi gesti, la sua voce, la sua amorevole e profonda fede in Maria madre di Gesù, restituiscono all’uomo distratto e confuso del terzo millennio la consapevolezza che la rinascita è sempre possibile e che nulla può impedire alla natura umana di diventare migliore, anche quando sembra che tutto sia perduto. E’ nella profonda crisi morale del terzo millennio che la catechesi di papa Giovanni Paolo II si inserisce e dà i suoi frutti, riabilitando le varie forme di disabilità di cui soffre l’umanità. E’ in questo bussare incessante che l’anima si risveglia e chiede di essere amata e ascoltata, è nella parola del papa che l’uomo ritrova molte delle sue certezze perdute. Giovanni Paolo II ha un rapporto privilegiato con la speranza e con i giovani che bene la rappresentano. Con loro esprime al meglio il suo senso della paternità, la sua vocazione paterna e fraterna, il suo desiderio di riproporre l’immediatezza della cultura cristiana, una cultura che sa comprendere, capire, gioire e rilanciare nello spirito dei tempi, nella richiesta di attenzione che arriva con forza da ogni parte. Giovanni Paolo II è un giovane con i giovani, è l’educatore che sa trovare sempre la parola giusta o il gesto più adatto per risvegliare emozioni e sentimenti, fede e speranza. E’ una immagine di serenità che attraversa i cuori, l’immagine di un uomo rimasto giovane che ama conversare con i giovani, che crede nel futuro del mondo, nella capacità dell’uomo di ascoltare e fare propri i messaggi della cultura cristiana.
Afferma Andrea Riccardi, nel suo libro: GIOVANNI PAOLO II – LA BIOGRAFIA – EDIZIONI SAN PAOLO : “…I giovani incarnano per il Papa il popolo “messianico” di domani. E’ convinto di dover testimoniare loro un grande messaggio. Lo fa sinceramente. I giovani vengono, lo ascoltano e – cosa significativa di fronte a un maestro così autorevole – si sentono liberi. Il rapporto tra Wojtyla e differenti generazioni di giovani in tutto il mondo ha manifestato la sua scelta per la “simpatia”. Non si presenta loro solo come un maestro, ma come un testimone di un’altra generazione che si immedesima in loro, come un compagno per la vita di domani…”.
Un approccio totale, radicale, che parte da una giovinezza vissuta e amata. Karol Wojtyla ha mantenuto intatto lo spirito giovane che ha informato la sua vita. Il suo non è uno sforzo dettato da un dovere o il rispetto di una immagine costruita, ma semplicemente la voglia di essere quello che lui è, un uomo che sente e vive con gioia la vita e le sue opportunità. Forse per la prima volta un papa si mostra nella sua totalità umana. Per la prima volta il Vangelo è slancio e appartenenza, voglia di essere nel mondo e con il mondo, abbracciando con naturalezza l’immanenza cristiana. Wojtyla è un cristiano libero, per questo allarga all’infinito la sua forza e la sua energia. Il papa immerge la sua santità nella bellezza e gode di questa bellezza, espressione visibile e tangibile della benevolenza del Padre. Essere giovane significa rinnovarsi e rinnovare, far vivere lo spirito nella sua purezza e immediatezza, scevro dai pregiudizi che impediscono all’uomo di essere se stesso. Il papa non è più soltanto l’immagine di un Vicario destinato al governo di una dottrina, ma diventa immagine vivente di un padre o di un fratello che condivide un cammino, che affronta la vita a viso aperto, con il sorriso sulle labbra, anche quando il tono della sua voce diventa severo e profetico, richiamando l’uomo al rispetto di sé e degli altri. E’ un papa libero, che ricarica di umanità la Chiesa, facendola vivere senza inibizioni, restituendole quella parte civile che è presupposto di rigenerazione morale del mondo. I giovani di fronte al papa si sentono liberi, perché lo sentono uno di loro, una persona che è così come appare, immediata e diretta, comunicativa sempre. Giovanni Paolo II interpreta la purezza evocativa dell’animo giovanile, il suo naturalissimo desiderio di esprimersi, di mostrarsi senza veli o sovrastrutture.
Continua: …La sua pastoralità è stata prima di tutto la parola e il gesto, rivolti alla persona o alle persone. L’uomo, cresciuto alla scuola del teatro rapsodico, aveva acquisito fin da giovane il senso del gesto connesso all’espressione e alla parola. Non si tratta di gesti simbolici, carichi di significato culturale o religioso, come quelli di Paolo VI…”.
Con Giovanni Paolo II la Chiesa scopre la sua vocazione giovanile, diventa voce di tutti, in particolare di quel mondo giovane che soffre per la mancanza di attenzioni da parte delle istituzioni e che in molti casi subisce varie forme di ostracismo e di prevaricazione, spesso indicato al pubblico ludibrio come espressione inadeguata di una realtà costruita a immagine e somiglianza del potere. Il papa polacco scuote dal profondo il potere granitico della Chiesa di Roma, stempera le distanze, esce allo scoperto e affronta il mondo senza paura, con la determinazione di chi sa di avere dalla propria parte lo spirito conciliatore e formatore di Cristo. Wojtyla esprime al più alto livello il valore umano e divino del cristianesimo, evidenziandone l’assoluta pertinenza storica, la capacità di essere sempre l’unico vero grande sostegno morale dell’uomo, il movimento capace di riordinare e riannodare le fila, restituendo una dimensione e una dignità. In tempi difficili, dominati dall’odio e dalla violenza, dall’utopia e dalla forza distruttiva delle ideologie, il papa oppone la naturalezza di una fede che affonda le sue radici nel cuore dell’uomo, nella sua intima perseveranza, nella certezza che oltre il muro dell’intemperanza esiste il perdono dell’accoglienza divina.
A proposito delle utopie ideologiche, ecco il pensiero di Andrea Riccardi, in Giovanni Paolo II – La Biografia – Ed. San Paolo:
“…Nel 1981, nell’enciclica Laborem exercens, scritta in un tempo in cui il mondo marxista sembra solido, Giovanni Paolo II nota: “I raggruppamenti, ispirati dall’ideologia marxista come partiti politici, tendono, in funzione del principio della <dittatura del proletariato> e con l’esercizio di influssi di vario tipo, compresa la pressione rivoluzionaria, al monopolio del potere nelle singole società, per introdurre in esse…il sistema collettivistico”. Il papa denuncia la dittatura del proletariato e rilancia la dottrina sociale della Chiesa in un mondo dove esistono ancora due sistemi economici, quello capitalista e quello comunista. Peraltro l’enciclica non ha avuto l’impatto che il papa si aspettava, secondo la testimonianza del cardinale Etchegaray. (R. Etchegaray, ho sentito battere il cuore del mondo. Cit., p. 169).La ferma condanna del comunismo non attenua però il giudizio critico sull’Occidente, che il papa ripete nella successiva enciclica sociale, Sollicitudo rei socialis, del 1987 ( la cui idea centrale è lo sviluppo)…”.
Il papa venuto dall’Est contribuisce, con la sua ferma convinzione nella centralità dell’uomo, a sgretolare i muri eretti dall’utopia marxista, rigenerando i popoli alla luce della salvezza cristiana. La figura di Cristo, martire e salvatore, penetra con forza nell’aspettativa salvifica della gente, diventa libertà e speranza. Nella catechesi pastorale di Giovanni Paolo II si rafforza il principio della libertà come fondamentale diritto dell’uomo a manifestare la propria dignità e la propria fede. Contro il potere della omologazione e quello della schiavitù morale e materiale, papa Wojtyla erige il potere rigenerante dell’esempio cristiano, la rivoluzione morale che ha riconsegnato all’uomo la sua anima, la sua testimonianza, la sua cultura, il suo diritto di negare o di affermare in virtù di un lungimirante pensiero valutativo. Ai popoli della fame e a quelli dell’utopia comunista il papa restituisce il valore della speranza e la certezza che ogni uomo è artefice del proprio destino. Il cristianesimo delle origini riaffiora con la sua straordinaria fermezza riabilitativa. Dopo i lunghi anni di martirio subiti dalla chiesa cattolica nel mondo comunista, finalmente si conferma il principio della libertà, come strumento di orientamento e di scelta. Giovanni Paolo II è intransigente anche nei confronti del “capitalismo selvaggio”, di quel sistema cioè che in nome di una arbitrarietà libertaria spegne ogni forma di spiritualità, per affermare il principio dello sfruttamento delle risorse e della persona umana.
Afferma Andrea Riccardi nel suo libro:
“…La Chiesa cattolica non accetta il sistema marxista, ma non è appiattita sul capitalismo. Come si è visto dalle conversazioni con Gorbacev, il papa non si augura che l’Oriente europeo si ricostruisca sui modelli occidentali. Durante il pontificato wojtyliano si assiste al rilancio della dottrina sociale della Chiesa, su cui il papa scrive ben tra encicliche…”.
E continua:
“…Il papa non rinuncia alla critica verso il sistema occidentale, anche quand’è ormai vincitore con la caduta del Muro e la globalizzazione. Ne è espressione l’enciclica Centesimus annus del 1991, in cui Giovanni Paolo II mostra come la fine del comunismo non significhi ancora la realizzazione del programma sociale della Chiesa. Anzi usa parole dure contro il “capitalismo selvaggio” e ripropone nuovi rapporti tra Nord e Sud del mondo. Giovanni Paolo II afferma soprattutto come l’esperienza storica dell’Occidente, non solo mostri l’inconsistenza dell’analisi marxista sull’alienazione, ma come l’alienazione sia ancora una realtà dell’Occidente…”.
Sempre a proposito del capitalismo occidentale, Wojtyla afferma:
“…Ci appare più minaccioso il materialismo liberale e consumista della società capitalista. Ci sembra anche che in Occidente la Chiesa sia come più disarmata di fronte a questa forma di materialismo che non in Polonia. Infatti avviene che l’uomo preso dal materialismo in un clima di assoluta libertà vi resta più facil mente sottomesso di chi è privato della libertà…”.(Andrea Riccardi, in Giovanni Paolo II – La Biografia – Ed. San Paolo).
Dunque Giovanni Paolo II condanna quei sistemi che negano la condizione umana e che la sottomettono al potere dell’autoritarismo dei beni. Condanna il comunismo e il consumismo, il capitalismo e le varie forme di liberalismo consumista. Risveglia le menti e i cuori induriti dalla schiavitù e dall’ignoranza, invitandoli a ripensare alla forza innovativa del pensiero cristiano. Dopo anni di sofferenza e di sudditanza i popoli della fame riprendono a sperare, dopo anni di martirio i popoli delle povertà imparano a guardarsi dentro, a prendere coscienza della propria identità, a riaffermare la forza rivoluzionaria del Vangelo. Il papa polacco dà numerosi esempi nei quali evidenzia lo spirito autocritico che anima la Chiesa del terzo millennio, ferma nel reprimere pubblicamente gli errori del passato, quando dietro il paravento cattolico si celavano violenze di ogni tipo. Giovanni Paolo II ha insegnato che non bisogna avere paura di ammettere le proprie colpe, di confessare pubblicamente i propri errori, perché la verità è l’unica strada che restituisce la dignità, la fiducia in se stessi e quella degli altri. La Chiesa di Giovanni Paolo II non teme il confronto con la storia, anzi lo sollecita. Scrive Andrea Riccardi nel suo libro, GIOVANNI PAOLO II – La Biografia – San Paolo):
“Paolo VI aveva cercato di realizzare una profonda riforma del governo della Chiesa: era il suo progetto da prima del Concilio. Montini aveva passato tre decenni in Curia e, dal 1937 al 1954, aveva guidato una sezione della Segreteria di Stato; ma non amava lo stile ecclesiastico romano, che a suo avviso andava cambiato. Credeva nel governo romano come servizio alla Chiesa universale. La Chiesa cattolica non doveva divenire una federazione o una comunione di Chiese nazionali. Roma manteneva il suo primato, ma doveva cambiare volto, diventare più moderna, internazionalizzarsi, far sentire i vescovi del mondo a casa loro nell’Urbe e nel contatto con i dicasteri vaticani, aprirsi a collaborazioni più ampie. La riforma montiniana della Curia aveva inteso modernizzare il governo vaticano, creando un coordinamento tra i dicasteri e riconoscendo al segretario di Stato (e alla Segreteria) una specie di premierato tra i capi dicastero (anche se la riunione tra i “ministri” del papa ebbe sotto Montini un ruolo minore di quanto non avvenga sotto Wojtyla)….La modernità di papa Montini era una risposta alle esigenze degli anni cinquanta e sessanta, con volontà di distacco dai metodi e dagli ambienti di una Curia troppo romana. Paolo VI era concepito come “principe riformatore”, deciso a mutare alcuni aspetti della vita della Chiesa, per renderla più familiare agli uomini del proprio tempo. Ma, proprio dalla fine degli anni sessanta, si sarebbe affermata nella società una modernità più in movimento, cangiante, soggettiva, percorsa da un senso di rottura con l’antico, sfuggente alle maglie di un progetto riformatore organico. Il movimento del ’68, in tutte le sue articolazioni, ne fu l’espressione, con le sue svolte antropologiche, i suoi sogni di cambiamento, i suoi approdi al soggettivismo ma anche alla lotta politica estrema….Paolo VI era l’italiano dell’universalità, attento all’attuazione graduale delle strategie e alla combinazione di diversi elementi. Lo fu in un tempo in cui era difficile governare, cercando di far funzionare al meglio le strutture di una Curia internazionalizzata. Ha lasciato un magistero importante sulla linea del Vaticano II, che aveva guidato e concluso. Ha compiuto importanti viaggi in Europa e nel mondo, innovando lo stile dei predecessori postunitari, che – con l’eccezione di Giovanni XXIII per un breve percorso italiano – non erano mai usciti da Roma o da Castel Gandolfo. Wojtyla è pieno di ammirazione per Paolo VI, capace di resistere in mezzo alle difficoltà: “Egli sapeva conservare una tranquillità ed un equilibrio provvidenziali anche nei momenti più critici, quando sembrava che essa (la Chiesa) fosse scossa dal di dentro…”
Giovanni Paolo II è un papa che ama e che rende visibile il suo amore per la vita. Ama la vita in tutte le sue manifestazioni ed esprime questa sua tensione con una energia travolgente. E’ un amore contagioso il suo, che fa cadere le barriere, che annulla l’ipocrisia e la falsità, un amore che restituisce all’uomo la vocazione alla bellezza. Con Giovanni Paolo II l’uomo si riappropria della sua condizione materiale, una condizione mediata sempre dalla speranza cristiana. E’ l’uomo che scopre il senso della fraternità, che avverte nell’incertezza la solidità del modello evangelico, che sente di non poter fare a meno della sua dimensione divina, di quel senso della sacralità delle cose che ha permeato e sostenuto nei secoli lo slancio della Chiesa cattolica. C’è in Wojtyla l’umana dolcezza della poesia, il senso profetico della certezza cristiana della fede, il desiderio di esprimere ai più alti livelli l’amore del Padre. Un papa santo per la forza del suo amore, del suo sorriso, del suo travolgente afflato umanitario, un papa che ha saputo comunicare con il mondo adottando l’immediatezza della comunicazione verbale e gestuale, non dimenticandosi mai di essere stato giovane e di poter ogni volta attingere allo spirito puro della giovinezza. La poesia è una forma di religiosità incarnata nel linguaggio spirituale della parola, una parola che diventa espressione della sacralità della natura umana. Giovanni Paolo è il papa che non fa mistero della sua passione umana e cristiana, è l’uomo della sintesi. Ogni atto o forma o sostanza sono espressioni vitali della forza creativa di Dio, tutto deriva e si comprende in Lui. L’uomo senza Dio lo è a metà. L’uomo, secondo Wojtyla, ha bisogno di esprimere se stesso, perché è in questo passaggio che riflette l’immagine divina, è nella ricchezza spirituale che riconosce sé stesso e che realizza la relazione vera col mondo. Afferma
Andrea Riccardi nella sua biografia sul papa polacco: “Karol Wojtyla ha il culto della poesia, attraverso cui esprime la sua meditazione storico-religiosa e in cui trova motivi di resistenza morale. La prima difficoltà a valutare appieno la sua “meditazione poetica” è che, spesso, il poeta pone la sua personalità al centro del suo scrivere. Non così Wojtyla. La sua poesia, in parte anonima (con lo pseudonimo di Andrzej Jawierì), edita anche dopo l’elezione al pontificato, non è stata considerata con sufficiente attenzione. La poesia è un aspetto tutt’altro che secondario dell’umanista polacco. Non si tratta del divertissement di un ecclesiastico impegnato o di un intellettuale romantico, ma di un modo di meditare sulla storia, sulla Polonia, sulla fede e complessivamente sull’umano…L’incipit della vicenda intellettuale di Karol è quello del poeta e del drammaturgo, oltre che dell’uomo di fede. Da teologo o filosofo non crea un sistema, né si identifica con un metodo o una specializzazione accademica, Tanto si è studiata la figura del papa, ma poco si è considerato il poeta o l’approccio da poeta e drammaturgo che caratterizzano Wojtyla…”.
La conoscenza di sé precede e supporta la conoscenza di Dio. Più l’uomo è capace di conoscere e di indagare la propria esistenza e più si avvicina alla conoscenza vera, quella che apre le porte dell’anima, che mette in relazione l’uomo con la propria interiorità nella quale vive e opera la trascendenza divina. L’amore per il Padre passa attraverso percorsi di natura diversa, ma tutti partono dall’uomo, dalla sua naturale appartenenza al mistero. Giovanni Paolo II ha insegnato all’uomo la bellezza delle fede cristiana perché dentro di lui la fede ha sviluppato meravigliose forme di arricchimento interiore, la naturalezza della sua comunicazione altro non è stata se non la certezza di un messaggio che è partito da Betlemme con la nascita di Cristo. Con il papa polacco la Chiesa non è più stato o struttura o gerarchia o altro, la Chiesa è soprattutto Verbo che vive e che parla nel mondo, che si colora di nuove forme e di nuovi linguaggi per dare la possibilità a tutti gli uomini di credere e di amare, di vivere e di godere appieno il sentimento dell’amore in tutte le sue forme.
Ecco come Giovanni Paolo II esprime il suo pensiero sull’Educazione:
(LETTERA ALLE FAMIGLIE DEL PAPA GIOVANNI PAOLO II – 1994 ANNO DELLA FAMIGLIA – COLLANA “SERVIZIO DELL’UNITA’” N.86 – EDITRICE ELLE DI CI)
“…In che cosa consiste l’educazione? Per rispondere a tale domanda vanno ricordate due verità fondamentali: la prima è che l’uomo è chiamato a vivere nella verità e nell’amore; la seconda è che ogni uomo si realizza attraverso il dono sincero di sé: Questo vale sia per chi educa, sia per chi viene educato. L’educazione costituisce, pertanto, un processo singolare nel quale la reciproca comunione delle persone è carica di grandi significati. L’educatore è una persona che “genera” in senso spirituale. In questa prospettiva, l’educazione può essere considerata un vero e proprio apostolato. E’ una comunicazione vitale. Che non solo costruisce un rapporto profondo tra educatore ed educando, ma li fa partecipare entrambi alla verità e all’amore, traguardo finale a cui è chiamato ogni uomo da parte di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo…”
L’Educazione è…
“…L’educazione è allora prima di tutto un’ “elargizione” di umanità da parte di ambedue i genitori: essi comunicano insieme la loro umanità al neonato, il quale a sua volta dona loro la novità e la freschezza dell’umanità che porta con sé nel mondo…”.
Il noi…
“…Il <noi> dei genitori, del marito e della moglie, si sviluppa, per mezzo della generazione e dell’educazione, nel <noi> della famiglia, che s’innesta sulle generazioni precedenti e si apre ad un graduale allargamento. Al riguardo, svolgono un ruolo singolare, da un lato, i genitori dei genitori e, dall’altro, i figli dei figli…”.
L’itinerario educativo conduce…
L’itinerario educativo conduce verso la fase dell’autoeducazione, che si raggiunge quando, grazie ad un adeguato livello di maturità psico-fisica, l’uomo comincia ad <educarsi da solo>. L’autoeducazione supera, col passare del tempo, i traguardi precedentemente raggiunti nel processo educativo, nel quale tuttavia continua ad affondare le sue radici. L’adolescente incontra nuove persone e nuovi ambienti, in particolare gli insegnanti e i compagni di scuola, i quali esercitano sulla sua vita un influsso che può risultare educativo o diseducativo. In questa tappa, egli si distacca in qualche misura dall’educazione ricevuta in famiglia assumendo talora un atteggiamento critico nei confronti dei genitori. Nonostante tutto, però, il processo di autoeducazione non può non essere segnato dall’influsso educativo esercitato dalla famiglia e dalla scuola sul bambino e sul ragazzo. Perfino trasformandosi e incamminandosi nella propria direzione, il giovane continua a rimanere intimamente collegato con le sue radici esistenziali…”.
E’ il vangelo dell’amore…
“…E’ il vangelo dell’amore l’inesauribile sorgente di tutto ciò di cui si nutre la famiglia umana come “comunione di persone”. Nell’amore trova sostegno e senso definitivo l’intero processo educativo, come frutto maturo della reciproca donazione dei genitori. Mediante le fatiche, le sofferenze e le delusioni, che accompagnano l’educazione della persona, l’amore non cessa di essere sottoposto ad una continua verifica. Per superare quest’esame occorre una sorgente di forza spirituale che si trova solo in Colui che “amò sino alla fine” (Gv 13,1). Così l’educazione si colloca pienamente nell’orizzonte della “civiltà dell’amore”; da essa dipende e, in grande misura, contribuisce a costruirla…”.
KAROL WOJTYLA E LA FAMIGLIA
(LETTERA ALLE FAMIGLIE DEL PAPA GIOVANNI PAOLO II – 1994 ANNO DELLA FAMIGLIA – COLLANA “SERVIZIO DELL’UNITA’” N.86 – EDITRICE ELLE DI CI)
“…La famiglia è una comunità di persone, la più piccola cellula sociale, e come tale è un’istituzione fondamentale per la vita di ogni società. Che cosa attende la famiglia come istituzione dalla società? Prima di tutto di essere riconosciuta nella sua identità e accettata nella sua soggettività sociale. Questa soggettività è legata all’identità propria del matrimonio e della famiglia. Il matrimonio, che sta alla base dell’istituzione familiare, è costituito dal patto con cui “l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione alla prole”. Solo una tale unione può essere riconosciuta e confermata come “matrimonio” nella società: Non lo possono invece le altre unioni interpersonali che non rispondono alle condizioni sopra riportate, anche se oggi si diffondono, proprio su tale punto, tendenze assai pericolose per il futuro della famiglia e della stessa società…”.
“ …Quell’amore a cui l’apostolo Paolo ha dedicato un inno nella Prima Lettera ai Corinzi – quell’amore che è <paziente>, è <benigno> e <tutto sopporta> (1Cor 13, 4.7) – è certamente un amore esigente. Ma proprio in questo sta la sua bellezza: nel fatto di essere esigente, perché in questo costituisce il vero bene dell’uomo e lo irradia anche sugli altri. Il bene infatti, dice san Tommaso, è per sua natura <diffusivo> ( Summa Theologiae, I, q.5,a.4,ad 2). L’amore è vero quando crea il bene delle persone e delle comunità, lo crea e lo dona agli altri. Soltanto chi, nel nome dell’amore, sa essere esigente con se stesso, può anche esigere l’amore dagli altri. Perché l’amore è esigente. Lo è in ogni situazione umana; lo è ancor più per chi si apre al Vangelo. Non è questo che Cristo proclama nel <suo> comandamento? Bisogna che gli uomini di oggi scoprano questo amore esigente, perché in esso sta il fondamento veramente saldo della famiglia, un fondamento che è capace di <tutto sopportare>. Secondo l’Apostolo, l’amore non è in grado di <sopportare tutto, se cede alle <invidie>, se <si vanta> se <si gonfia>, se <manca di rispetto> (cf 1 Cor 13,5-6). Il vero amore, insegna san Paolo, è diverso: “tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,7)….
“VOI NON VI RASSEGNERETE…”
“…Voi nel nuovo secolo non vi presterete ad essere strumenti di violenza, di distruzione, difenderete la pace, pagando di persona se necessario… voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono…Voi difenderete la vita in ogni momento…Vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti…non abbiate paura di affidarvi a Lui, Egli vi darà la forza di seguirlo ogni giorno…”. (Giornata Mondiale della Gioventù – Roma 2000)
I giovani non possono e non devono rassegnarsi, perché in loro è riposto il destino del mondo. E’ in questa prospettiva che Giovanni Paolo II orienta la sua fiducia nei giovani, nella loro capacità di rendere la terra sempre più abitabile, nella loro capacità di aderire ai principi fondamentali della civile convivenza, quelli che si legano allo slancio interiore, al desiderio di costruire una realtà sempre più umana, sempre più a misura d’uomo. E’ su questa assunzione profetica di valori che il papa costruisce la sua speranza. Alle generazioni future Wojtyla affida l’arduo compito di difendere e promuovere valori universali come la pace, l’unione, la fratellanza, la lotta contro le povertà del mondo, povertà di natura materiale, morale e spirituale. Wojtyla sa che i giovani hanno l’animo pronto, lo sa per esserlo stato nella forma più vera e completa, lo sa per aver vissuto in prima persona il dramma della guerra, lo sa per aver combattuto e lottato in difesa della pace e della promozione umana, lo sa per aver sperimentato sulla propria pelle il razzismo, il peso di ideologie negatrici della libertà materiale e spirituale, lo sa per aver dovuto difendere la sua fede dall’odio antireligioso. A lui giovane la Polonia ha affidato le sue speranze di amore e di libertà, a lui giovane papa il mondo ha consegnato le sue paure per riscoprire la forza rigeneratrice del Vangelo di Cristo. Nella terra dei martiri cristiani Wojtyla costruisce giorno per giorno una nuova realtà di vita, volta a trasformare il mondo in un grande tempio della speranza cristiana. I giovani lo amano, amano la fiducia che ripone in loro, la sagace trasparenza della sua fede, l’alta considerazione che ha di loro, delle loro aspettative, della loro fraterna capacità di aspirare al cambiamento. Lo amano perché dialoga con loro, ricerca con loro nuove vie di evangelizzazione, cerca di stimolare le loro energie, la loro voglia di essere protagonisti della storia. E’ in questa direzione che il papa polacco orienta le sue speranze, è su questa strada che Wojtyla costruisce le nuove libertà. E’ ai giovani che apre le porte recondite del suo cuore, quelle che si colorano di antichi e nuovi sentimenti, di gestualità ed espressioni spontanei che comunicano la bellezza dell’amore e della condivisione umana. Il rapporto affettivo del Santo Padre è di quelli che non sono mai invecchiati, che hanno continuato a sopravvivere anche nei momenti più bui e più drammatici della storia, perché Wojtyla ha sempre conservato l’animo puro e trasparente di un giovane che sente affiorare la presenza consolatrice di Maria e la forza rigenerativa della passione di Cristo. Un papa meno intellettuale e più versato nell’arte di accompagnare il gregge con l’esempio. Un papa meno ufficiale e più disposto al gesto umano, alla parola che sorregge, che lascia intravvedere uno spiraglio di luce. E’ così che si posiziona all’interno del mondo, in particolare quello di giovani che sono alla ricerca di un attracco sicuro a cui appoggiare le proprie aspettative. In un mondo che ha provato tutto e che si prostra in ginocchio, Wojtyla concede il suo pensiero divino, indicando la via della risurrezione come risposta al potere effimero del materialismo moderno, braccato da esasperate forme di consumismo, di relativismo, di egocentrismo. Sembra persino impossibile che l’uomo che parla di Dio possa conquistare milioni di persone assemblate nelle piazze ad aspettarlo per ascoltare la sua parola. Una parola, quella del papa, contro le frustrazioni verbali di un mondo che si è dimenticato di essere figlio. La paternità di Giovanni Paolo II abbraccia e restituisce calore e speranza a tutti coloro che si sono lasciati irretire dalle illusioni, confinando in angoli remoti del loro cuore e della loro coscienza la forza e la bellezza dei sentimenti cristiani.
“L’UOMO E’ GRANDE PER LA SUA INTELLIGENZA….”
“…L’uomo è grande per la sua intelligenza, mediante la quale conosce se stesso, gli altri, il mondo e Dio. L’uomo è grande per la sua volontà, per cui si dona nell’amore fino a raggiungere vertici di eroismo, su tali risorse trova fondamento l’anelito insopprimibile dell’uomo, quello che tende alla verità, ecco la vita dell’intelligenza e quello che tende alla libertà, ecco il respiro della volontà. Qui l’uomo acquista la sua grande, incomparabile statura, che nessuno può calpestare , che nessuno può irridere, che nessuno può togliervi…E’ soprattutto nella cultura che si manifestano le risorse essenziali dell’uomo, come ho detto nella sede dell’UNESCO a Parigi, l’uomo vive una vita veramente umana grazie alla cultura. La cultura è ciò per legge di cui l’uomo in quanto uomo diventa più uomo…accede di più all’essere. La cultura si situa sempre in relazione essenziale e necessaria a ciò che l’uomo è , mentre la sua relazione a ciò che ha, al suo avere è non solo secondaria, ma totalmente relativa….L’uomo è il dato primordiale della cultura e questo l’uomo lo è sempre, è l’insieme integrale della propria soggettività spirituale e materiale. L’uomo di oggi è fortemente impegnato a riformulare il rapporto con il mondo che lo circonda, con la scienza e con la tecnica, vuole scoprire risorse sempre nuove per la sua vita e per la convivenza tra i popoli, tende a realizzare un processo che tutti vorrebbero pacifico e ad esaltare l’arte come espressione della propria libera creatività. Nonostante questo la pace oggi è gravemente minacciata, la scienza e la tecnica rischiano di generare uno squilibrio carico di conseguenze negative nel rapporto tra l’uomo e l’uomo, tra l’uomo e la natura, tra nazioni e nazioni. Da questa contraddizione, che sembra inarrestabile, perché strutturalmente connessa al mistero del male è necessario che lo sguardo si volga all’Artefice della vostra salvezza per generare una civiltà che nasca dall’amore, la civiltà dell’amore, per non agonizzare, per non spegnersi nell’egoismo sfrenato, nella insensibilità cieca al dolore degli altri. Fratelli e sorelle costruite senza stancarvi mai, questa civiltà…”. (Brani del discorso al Meeting di Rimini – 29 agosto 1982)
La cultura aiuta l’uomo a riconoscersi e a conoscere, crea le condizioni per una vita più vera, armoniosa, volta a privilegiare l’arricchimento interiore, la relazione con gli altri esseri umani. La cultura non è un privilegio, ma una porta aperta che aiuta l’umanità a ritrovarsi, a scoprirsi, a vivere in modo autentico la propria condizione. La vita è veramente umana quando è arricchita dalla cultura. La cultura come risorsa, la cultura come capacità di armonizzare, di relazionarsi, cultura come via che conduce alla libertà vera, quella che si affranca dalle sopraffazioni, dalle violenze, dalle povertà perpetrate per imprigionare la natura umana. Giovanni Paolo II sa quanto sia importante la cultura. Ricorda in alcune occasioni quando lui, operaio della Solvay, si portava i libri in fabbrica, per ritagliarsi spazi di conoscenza nuova, di arricchimento interiore, sfidando l’incomprensione dei colleghi, ma anche la stima di altri che senza comprendere a fondo vedevano in lui un modo diverso di vivere l’esistenza. Wojtyla ha fatto della cultura il verbo del suo quotidiano dialogo con l’esistenza. La cultura del papa è la cultura dell’essere, quella che libera, che consolida e potenzia la vita di relazione, che apre continuamente spazi di speranza in un mondo spesso prevaricato da varie forme di coercizione. La cultura del papa è la cultura della vita, che si oppone alla cultura della violenza e della morte, una cultura che migliora l’essere umano, aiutandolo a evidenziare quella parte della natura umana fatta a somiglianza del Padre. Non una cultura prigioniera, ma libera, non la cultura dell’interesse personale, ma quella che beneficia l’umanità, il suo desiderio di uscire dal baratro dell’ignoranza. Non la cultura della sopraffazione e del potere, ma quella che si dona, che diventa servizio, che aiuta gli altri a comprendere meglio se stessi e il mondo, la cultura della libertà contro quella dell’ignoranza, la cultura della riflessione contro quella dell’edonismo e della superbia, la cultura dell’amore contro quella dell’odio. Giovanni Paolo II sa che la conoscenza è figlia di Dio e che la conoscenza umana sfocia quasi necessariamente in quella metafisica e quella metafisica il più delle volte in quella teologica. Papa Wojtyla applica una teologia dal volto umano, che si rende visibile a occhio nudo, che si legge e si lascia comprendere perché parla il linguaggio dolce e rasserenante di una madre, quello paterno e passionale di un padre al quale stanno a cuore i destini dei propri figli. Con Giovanni Paolo II la Chiesa di Roma diventa popolo in cammino e la via è quella di tutti i giorni, con le sue difficoltà e le sue gioie, con le sue aspettative e le sue delusioni, con il bisogno di sentire accanto a sé qualcuno che sostenga la fatica. Una Chiesa che cammina sulla via del Concilio Vaticano II, sulla via tracciata da Giovanni XXIII°, il papa buono, il papa che ha posizionato la Chiesa nella storia, mettendola vicino all’uomo, dentro la natura umana, perché la sostenesse nell’incontro con la speranza cristiana. Fuori dall’ingessatura gerarchica e dalle condizioni storico/politiche che l’hanno resa più facilmente vulnerabile, la Chiesa di Roma diventa apostolato itinerante, contatto attivo e concreto con quel mondo dei desideri prostrato dalle mille iniquità della natura umana. Giovanni Paolo II ci fa scoprire la chiesa che è dentro ciascuno di noi, che attende di uscire fuori alla luce della speranza.
Afferma il Santo Padre nella lettera enciclica VERITATIS SPLENDOR:
“…L’evangelizzazione è la sfida più forte ed esaltante che la Chiesa è chiamata ad affrontare sin dalla sua origine. In realtà, a porre questa sfida non sono tanto le situazioni sociali e culturali che essa incontra lungo la storia, quanto il mandato di Gesù Cristo risorto, che definisce la ragione stessa dell’esistenza della Chiesa: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). Il momento però che stiamo vivendo, almeno presso numerose popolazioni, è piuttosto quello di una formidabile provocazione alla <nuova evangelizzazione>, ossia all’annuncio del Vangelo sempre nuovo e sempre portatore di novità, una evangelizzazione che dev’essere “nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione”. La scristianizzazione, che pesa su interi popoli e comunità un tempo già ricchi di fede e di vita cristiana, comporta non solo la perdita della fede o comunque la sua insignificanza per la vita, ma anche, e necessariamente, un declino o un oscuramento del senso morale: e questo sia per il dissolversi della consapevolezza dell’originalità della morale evangelica, sia per l’eclissi degli stessi principi e valori etici fondamentali. Le tendenze soggettivistiche, relativiste e utilitariste, oggi ampiamente diffuse, si presentano non semplicemente come posizioni pragmatiche, come dati di costume, ma come concezioni consolidate dal punto di vista teoretico che rivendicano una loro piena legittimità culturale e sociale…”.
E prosegue:
“…Alla radice della nuova evangelizzazione e della vita morale nuova, che essa propone e suscita nei suoi frutti di santità e di missionari età, sta lo Spirito di Cristo, principio e forza della fecondità della santa Madre Chiesa, come ci ricorda Paolo VI: “L’evangelizzazione non sarà mai possibile senza l’azione dello Spirito Santo”. Allo spirito di Gesù, accolto dal cuore umile e docile del credente, si devono dunque il fiorire della vita morale cristiana e la testimonianza della santità nella grande varietà delle vocazioni, dei doni, delle responsabilità e delle condizioni e situazioni di vita: è lo Spirito Santo – rilevava già Novaziano, in questo esprimendo l’autentica fede della Chiesa – “Colui che ha dato fermezza agli animi ed alle menti dei discepoli, che ha dischiuso i misteri evangelici, che ha illuminato in loro le cose divine; da Lui rinvigoriti, essi non ebbero timore né delle carceri né delle catene per il nome del Signore; anzi calpestarono gli stessi poteri e i tormenti del mondo, armati ormai e rafforzati per mezzo suo, avendo in sé i doni che questo stesso Spirito elargisce ed invia come gioielli alla Chiesa sposa di Cristo. E’ lui, infatti, che nella Chiesa suscita i profeti, istruisce i maestri, guida le lingue, compie prodigi e guarigioni, produce opere mirabili, concede discernimento degli spiriti, assegna i compiti di governo, suggerisce i consigli, ripartisce e armonizza ogni altro dono carismatico, e perciò rende dappertutto ed in tutto compiutamente perfetta la Chiesa del Signore”…”.
Giovanni Paolo II è un papa evangelizzatore e la sua è una Chiesa che si conferma nell’erranza, nell’essere presenza soprattutto là dove secoli di coercizione del potere hanno distrutto il pensiero dell’uomo, la sua capacità di essere anima, spirito, sentimento, valore, ricchezza interiore. Wojtyla sa che la rinascita parte soprattutto dalla presa di coscienza e che la presa di coscienza è foriera di mutazioni se è garantita dalla libertà. Senza libertà non è possibile crescere e svilupparsi, tracciare un cammino che possa aprirsi alle conoscenze umane e a quelle divine della storia. Senza libertà il popolo è schiavo, non ha voce, è costretto a subire il pensiero di chi comanda, di chi vuole la sua passività, di chi mette sempre innanzi l’individualismo ai bisogni della collettività. Una battaglia, quella del papa, combattuta senza risparmio di energie, con lo spirito umano e passionale della fede cattolica. Un papa che non teme il confronto con il male, che lo affronta pubblicamente, senza risparmio di energie, come quando nella piana agrigentina punta il dito e la voce contro il potere mafioso. E’ il papa che risveglia i popoli della paura, quelli che hanno subito la violenza di un potere iniquo, creato apposta per impedire agli uomini di diventare realmente uomini, protagonisti della loro storia personale e collettiva. E’ il papa che dice al mondo di non avere paura, ma di lottare sempre per l’affermazione della verità. E’ il papa che esprime al massimo livello la bellezza della vita in tutte le sue variegate proposizioni. Ama e fa amare, regala ottimismo e rigenerazione, fiducia e speranza. Il suo sorriso e la sua benevolenza contagiano popoli cristiani e non cristiani, uomini e donne di tutte le religioni e di tutti i continenti. Le gente vede in lui il padre santo, l’uomo diventato papa per volere di Dio. La sua evangelizzazione si arricchisce sempre, porta dentro di sé i tasselli di un percorso di consolidamento e di potenziamento personale, che raggiunge l’apice con la malattia che lo colpisce pochi anni dopo l’attentato di Roma. La malattia esalta le virtù cristiane del Santo Padre, regalando all’uomo un percorso di santificazione personale che trova nella sofferenza lo strumento perfetto di una nuova evangelizzazione. Il papa ammalato dà speranza, indica una via di santificazione personale, fa riflettere sul grande dono della vita umana, dimostra che essere ammalati non è un limite, ma un dono che l’uomo fa di se stesso. E’ la fase più forte della evangelizzazione papale, quella che esalta il valore della vita umana e della sua preparazione all’incontro con Cristo.
Ecco un passaggio di Andrea Riccardi, nel suo libro su Giovanni Paolo II, tratto dal colloquio dell’autore con Bendetto XVI:
Così mi ha detto:
“Allora si poteva ragionevolmente chiedere: è possibile governare la Chiesa in quelle condizioni di salute? Oggi, in una visione retrospettiva, comprendiamo meglio la portata di quegli anni di sofferenza. Vediamo che portava sulle sue spalle, fattesi fragili, il peso del suo ministero. La sua vita, negli ultimi anni, è stata una vera catechesi del dolore. Oggi, nel mondo contemporaneo si nascondono i sofferenti e le sofferenze. Ma la sofferenza è una parte essenziale della vita umana. Giovanni paolo II ha mostrato, con la sua sofferenza personale, il cristianesimo come la religione del Crocifisso.
In questo modo Giovanni Paolo II ha quasi realizzato un “tipo di governo” secondo papa Ratzinger:
“Sì, si può governare anche con la sofferenza. E’ certo qualcosa di straordinario. Ma dopo un lungo pontificato e dopo tanta vita attiva da parte del papa, era significativo ed eloquente un tempo di sofferenza, che quasi divenne un tipo di governo”.
“GIOVANNI PAOLO II E IL CONCILIO…”
“…Il Concilio Vaticano II ha invitato gli studiosi a porre “speciale cura nel perfezionare la teologia morale in modo che la sua esposizione scientifica, maggiormente fondata sulla Sacra Scrittura, illustri l’altezza della vocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la via del mondo”. (Cost. past. Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 62) Lo stesso Concilio ha invitato i teologi, “nel rispetto dei metodi e delle esigenze proprie della scienza teologica, a ricercare modi sempre più adatti di comunicare la dottrina agli uomini della loro epoca, perché altro è il deposito o le verità della fede, altro è il modo con cui vengono enunciate, rimanendo pur sempre lo stesso significato e il senso profondo…”. (LO SPLENDORE DELLA VERITA’ LETTERA ENCICLICA “VERITATIS SPLENDOR” DI GIOVANNI PAOLO II – COLLANA “SERVIZIO DELL’UNITA’” N.84 EDITRICE ELLE DI CI)
Giovanni Paolo II è l’espressione più concreta della politica conciliare di Giovanni XXIII. Lo è nella misura in cui avverte che è giunto il momento di far conoscere la parola del papa, della Chiesa e quindi di Cristo ai popoli della fame, così descritti da Paolo VI, superando ogni tipo di barriera, di contrapposizione religiosa, umana, politica, sociale. Il papa abbraccia il mondo con l’affetto di un padre che vuole parlare ai suoi figli, accogliendone dubbi e incertezze, fatiche e problemi, aspirazioni e progetti. Con Giovanni Paolo II la Chiesa va incontro al mondo, un mondo a tratti diverso e imprevedibile, ma ovunque assetato di giustizia sociale, di amore, di comprensione. E’ in questo mondo a tratti sorpreso ed incerto che la vicinanza del papa diventa stimolo e protezione dalle forze del male. E’ in questo mondo a volte ancora inesplorato che il papa lancia la sfida del Vangelo di Cristo, un Vangelo che è voce di chi non ha voce, esempio concreto di trasparenza di vita, speranza per chi vive nella sofferenza e nel dolore. La voce del Vicario di Cristo arriva ovunque e ovunque lascia il dono profetico della rivoluzione cristiana, una “rivoluzione” che sgombra l’animo dai pesi delle prevaricazioni umane, per restituire all’uomo la sua dignità.
PAPA GIOVANNI PAOLO II, L’ANELLO DI UNA CHIESA CHE SI APRE AL MONDO.
“Lo ricordiamo sul Viale delle Cappelle del Sacro Monte di Varese, il 2 novembre del 1984, mentre saliva col suo passo montanaro recitando il Rosario, insieme al cardinale Carlo Maria Martini, a monsignor Pasquale Macchi, segretario personale di Paolo VI, diventato poi arciprete del Sacro Monte e a una marea di folla convenuta per accompagnarlo in questo pellegrinaggio mariano”.
Capita spesso di non aver mai incontrato fisicamente la persona che avresti voluto incontrare, ma di averla incontrata più volte durante il suo e il nostro cammino, perché ci sono momenti nei quali il cammino dell’uno diventa bisogno e sostegno di quello dell’altro e viceversa. E’ un po’ come l’incontro con Cristo, che non hai mai visto e conosciuto nella sua dimensione umana e divina, ma che sei certo di averlo incontrato più volte nella difficoltà, nella preghiera, nell’eucarestia, nella fede, nel desiderio umano del sostegno divino. San Giovanni Paolo II ha incontrato il mondo nella sua espressione etnica e geografica, ma anche e soprattutto nelle sue aspettative umane e spirituali, che dominano l’animo umano, anche quando sembra che il benessere distrugga tutto, anche il dono straordinario dell’amore. Il Papa venuto dall’Est ha trasmesso al mondo un taumaturgico messaggio d’amore che ha incontrato tutti, soprattutto coloro che attendevano da tempo una voce che scuotesse torpori e trascuratezze, indifferenze e ripetitività, innovazioni incomprese e solitudini morali, persone che avevano un estremo bisogno di sentire vibrare di nuovo le corde del cuore. Ha scosso il pianeta, dimostrando che il Vangelo è un libro aperto di grande buon senso, che può trasformare il buio in luce, il pessimismo in un atto di fede nelle cose belle che allietano la vita. Quello di Giovanni Paolo II è un messaggio universale che ha il preziosissimo dono dell’ispirazione divina. Non è facile, infatti, parlare al cuore di chi si sente confuso e abbandonato, di chi ascolta belle parole morendo giorno per giorno senza nessuno che lo prenda per mano per fargli vedere che la luce del sole esiste per tutti e che può cambiare la vita. Il Vangelo di Cristo è stato la rotta che ha guidato tutta l’attività pastorale di un papa nato per santificare il mondo nel nome della religione di Roma. Solo chi ha sofferto e ha l’animo sgombro dagli stereotipi della storia può evocare l’entusiasmo contagioso che decompone il pregiudizio e restituisce la speranza, facendo capire ad ognuno che la via della salvezza è per tutti. Il Beato Giovanni Paolo II è una di quelle figure che portano dentro il carisma dell’incontro, la forza incredibile di un amore che oltrepassa muri e barriere. L’ecumenismo è stato un passaggio grandioso del suo apostolato, un fraterno incontro di uomini che hanno riscoperto la loro radice umana, il bisogno di offrire a Dio il loro impegno in favore della pace nel mondo. L’incontro di Assisi, nella stupenda cornice del perdono, ha segnato una svolta decisiva nei rapporti umani, culturali, sociali e normativi che in passato hanno radicalizzato primati e diversità religiose.
Giovanni Paolo II ha abbracciato tutti nello spirito, abbattendo il muro dell’incomprensione, proprio come quando è entrato nella Sinagoga di Roma per pregare con i fratelli di religione ebraica. Non dimentichiamoci che con lui il mondo si è guardato allo specchio, ha fatto un profondo esame di coscienza che in molti casi ha cambiato il corso della storia. Ha pregato sui luoghi del martirio per coloro che hanno subito le atrocità della natura umana. Ha puntato il dito contro la mafia, richiamando l’uomo alle sue responsabilità. Ha parlato al cuore dei giovani, con parole e gestualità di un papa senza età, che conosce molto bene i fermenti di uno dei momenti più belli e difficili della vita. Ha ballato e cantato, dimostrando che si può vivere l’amore con modalità diverse, esaltando il valore della diversità. Ha voluto sempre accanto a sé anziani, ammalati e bambini, ma soprattutto ha indicato all’umanità i due pilastri della salvezza: Cristo e Maria.
Ha pronunciato parole forti,come “apritevi”, “non abbiate paura”, “pentitevi”,
segni di uno spirito forte e determinato, che parla col cuore al cuore dell’uomo. Con lui sono saltate le differenze di classe, le discriminazioni sociali e tutti i tipi di discriminazioni presenti nella storia.
Ha contagiato tutti con la sua gioia cristiana.
Scriveva a proposito dei giovani: “Abbiamo bisogno della gioia di vivere che hanno i giovani: in essa si riflette qualcosa della gioia originaria che Dio ebbe creando l’uomo”, e poi ancora: “A me piace incontrare i giovani; non so perché ma mi piace; i giovani mi ringiovaniscono”.
E’ sempre stato un grande punto di riferimento per il mondo giovanile, fin da quando era un giovane sacerdote nella parrocchia di San Floriano a Cracovia.
Giovanni Paolo II ha ridato voce alla chiesa, ha riconfermato l’universalità del messaggio cristiano, ha riannodato amicizie, fratellanze, ha manifestato il volto sorridente di Cristo, quello che si lega alla speranza, al risveglio di dignità diventate vittime della storia.
Con lui la Chiesa si è riproposta come chiesa del dialogo, dell’apertura sociale, della volontà di dimostrare che la presenza vale più di tante parole. Nei suoi quasi 27 anni di pontificato ha affrontato oltre 1400 udienze e incontri con personalità politiche di tutto il mondo. Ricordiamo le 712 visite a capi di stato e le 228 a primi ministri. E’ importante sottolineare il suo incontro con Fidel Castro, quello con straordinarie figure della chiesa come Madre Teresa di Calcutta e di altre religioni, come il Dalai Lama.
Tra i tanti insegnamenti quello della sofferenza è stato grandioso.
Fino all’ultimo ha voluto dimostrare che nella vita ci sono passaggi che vanno accolti con la stessa vocazione alla santità del Cristo crocifisso, senza mai interrompere, neppure per un attimo, la sua attività pastorale, il suo incontro quotidiano col mondo e i suoi mille problemi. Giovanni Paolo II ha riproposto la religione cattolica non come appartenenza elitaria, legata alle convenzioni di una gerarchia in qualche caso troppo legata ai formalismi, ma come somma di virtù e di esempi che trovano nel Vangelo di Cristo la loro espressione più viva e più vera. A braccia aperte sul mondo, stringendo mani e baciando fronti, con quella sua proiezione paterna e quella sua particolarissima devozione a Maria, ha sconvolto le regole del dogmatismo e del formalismo, ha rasserenato cuori, ne ha guarito di ormai privi di speranza, in un rapporto fraterno col mondo e i suoi bisogni. Lo ricordiamo sul viale delle Cappelle del Sacro Monte di Varese, il 2 novembre del 1984, mentre saliva col suo passo montanaro recitando il Rosario, insieme a Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano e a monsignor Pasquale Macchi, segretario personale di Paolo VI, diventato poi arciprete del Sacro Monte. E’ stato un momento d’incontro e di gioia, di entusiasmi e di speranze. Con il Beato Giovanni Paolo II la chiesa di Roma ha gettato fasci di luce su tutto il mondo non solo cattolico, perché la bellezza del cristianesimo, così come ce l’ha ricordato più volte il grande papa venuto dall’Est, sta nell’essere momento di di affrancamento da ogni forma di schiavitù che grava sulla natura umana in ogni parte del pianeta.
DAL PELLEGRINAGGIO A LOURDES, GIUGNO 1979. Così Monsignor Tarcisio Pigionatti esprime il suo pensiero su Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II. (Il documento è tratto dal libro di Felice Magnani, Monsignor Tarcisio Pigionatti Un apostolo della Carità – Associazione Mons. Tarcisio Pigionatti – Edito da: “La Tipografica Varese S.p.A.”).
“Due motivi ci hanno portato fino a Lourdes: la devozione alla Vergine Santissima, il primo centenario della morte di Santa Bernadette (16 aprile 1879).Sono i personaggi principali di una vicenda singolare che ha avuto inizio l’11 febbraio 1858. L’ambiente naturale non era quello che oggi possiamo contemplare. Faceva nascere tanti dubbi questa preferenza della Madonna per un luogo pressoché inaccessibile e selvaggio. Ma è un’abitudine costante di Dio, questa di amare quei posti dove sono di casa poche parole e piccoli gesti. Al di là di qualche fastidio inevitabile, dobbiamo essere grati alla saggezza lungimirante della Chiesa, che difeso con i denti questo spazio di religiosa preghiera. Anche se non tutto può essere di gradimento per tutti, tuttavia non lasciamoci disperdere dai gusti personali. Neppure Bernadette ha fatto salti di gioia davanti alla prima statua della Vergine Immacolata, scolpita nel marmo bianco di Carrara. Avevano scomodato uno scultore di grande fama, membro dell’Accademia di Belle Arti di Lione (Joseph Fabish) che aveva interrogata la veggente a lungo, per filo e per segno. Ma quando le presentarono in anteprima l’opera compiuta, ella non seppe fingere e sussurrò “quasi con dispetto”: “No, non è così!”. Lo scultore non aveva rispettato la giovinezza della Madonna che era apparsa “molto bambina”. “Più giovane del peccato, più giovane della razza da cui proviene”, dirà più tardi un grande scrittore francese (Georges Bernanos – Diario di un curato). Nel suo discorso di ammissione all’Accademia, l’artista aveva detto: “L’arte è eloquenza”. Così l’eloquenza ha tradito la verità e la bellezza. Non siamo venuti qui per sciupare queste poche ore con divagazioni di vario genere, o con le nostre parole. In una ventina di incontri, la Vergine e Bernadette, non hanno fatto tanti discorsi. Qualche battuta, qualche domanda, qualche segreto confidenziale. Poi, tutto il resto del tempo hanno pregato insieme, recitando il Santo Rosario. Un angolo di terra, squallido e sperduto, che la fantasia della gente schivava volentieri e popolava perfino di ombre sospette e di streghe, è diventato per eccellenza, un luogo di pace e di preghiera. Ci hanno messo del tempo a capire il senso di una processione che terminasse davanti a una grotta. Poi, questi primi passi incerti e dubbiosi in cui, come avviene di solito, i bambini e le donne stavano in prima fila, sono diventati audaci, sicuri. Una fiumana di popoli si è riversata qui dall’Occidente e dall’Oriente, Ciascuno con una speranza, con un problema, con un desiderio, magari con una angoscia. Di questo abbiamo bisogno. Di credere, con tutto il cuore, che non siamo soli e abbandonati al nostro destino. Vicino a noi, invisibile, c’è questa madre che forse un po’ meccanicamente, ogni giorno, andiamo invocando come “clemente, pietosa, dolce Vergine Maria”. Mi viene alla memoria la confessione fatta da Bernadette dopo la prima apparizione del giovedì 11 febbraio 1858. La sera del sabato, l’abate Pomian, aprendo la grata, riceve questa confidenza, in dialetto: “Prima sentii un rumore, come un colpo di vento. Poi, ho visto qualcosa di bianco che aveva la forma di una Signora”. L’abate lascia parlare la bambina senza mostrare un interesse particolare, però si stupisce della coerenza di quel discorso, tanto semplice e inaudito. Attraggono la sua attenzione, soprattutto quelle parole “Prima sentii un rumore, come un colpo di vento”. Pensa al “colpo di vento” della Pentecoste, nel secondo capitolo degli Atti degli Apostoli. Da dove vengono alla ragazzina questa sicurezza, queste parole, più grandi di lei? Mi viene alla memoria questo episodio piccolissimo, che quasi sparisce in tutta la storia di Lourdes, perché si adatta a pennello alla nostra circostanza. Siamo proprio alla vigilia di Pentecoste. Riuniti in questa assemblea eucaristica, non siamo forse come gli postoli del Cenacolo? Sì, comunità di Chiesa quella di allora, comunità di Chiesa, la nostra di adesso. Diciamo di più. Senza vergogna. Comunità di Chiesa quella di allora, piena di timori. Non lo diciamo con malizia, per scusare il nostro stato d’animo. E’ una verità scritta nel Vangelo : “Stavano a porte chiuse per timore dei Giudei” (Giov. 20, 19). Eppure la Madonna era in mezzo a loro, viva, visibile. Poi venne quel “colpo di vento” dello Spirito Santo. Il Cenacolo si aperse e quei pavidi, divenuti coraggiosi, uscirono nelle strade e nelle piazze a confessare la loro fede. Chiediamo alla Madonna che mandi a noi quel “colpo di vento” che spazzi via dal cuore ogni dubbio, ogni esitazione; che riaccenda più viva, più ferma la nostra fede. Perché ne abbiamo bisogno e ne ha bisogno il mondo. Chiediamo con la fiducia di Bernadette a questa madre che è clemente, pietosa, che è “la dolce Vergine Maria”.”
“E’ il mese di maggio del 1981, Giovanni Paolo II è vittima di un attentato. Il mondo trema, questa volta il Male ha superato se stesso, ha tentato il tutto per tutto, ma la Vergine Maria protegge il Vicario di Cristo e gli uomini respirano di nuovo il vento della speranza.
Monsignore esprime i suoi sentimenti di fraternità al Pontefice:
“Questi sono momenti in cui non è possibile dire tante parole, anzi è necessario contarle. Il primo sentimento che è scoppiato nel nostro animo è un grande dolore”.
SI avvera quanto Gesù dice nel Vangelo a proposito della sua passione:
Percuoteranno il Pastore e il gregge sarà sbandato.
Dobbiamo sempre amare il Papa, ma questo Papa nel cuore dei figli, e specialmente dei giovani, è più un Padre che un Pastore. Come non essere sgomenti e tristi per quanto è accaduto? Nella sua persona è la nostra, è la persona di ogni credente che rimane ferita e offesa.
Il secondo sentimento è un impegno di perdono e di riconciliazione. Se la violenza è arrivata fino al Vicario di Cristo, vuol dire che il nostro mondo è profondamente ammalato. Gesù è venuto per guarirlo, non per lasciarlo al suo destino di maledizione. Gesù ha inviato Pietro e gli Apostoli come ambasciatori di riconciliazione e di pace. Giovanni Paolo II, da quando è Papa, non fa che annunciare con tutte le sue forze questa apertura, questa accoglienza dell’amore di Cristo. Non possiamo chiudere gli occhi su i fatti terribili e fingere che non siano tali. Però senza lasciarci prendere dalla spirale dell’odio e del rancore. Soltanto un bene più largo, più generoso, più tenace e incisivo, può fermare la valanga omicida. La “cultura della morte” può essere vinta appena dalla cultura, dalla “civiltà dell’amore”. E l’esempio viene proprio da questo Papa. Attaccato in modo insolente e incivile perché fa risuonare nel mondo il Vangelo di Cristo, non ha mai detto una sola parola polemica e risentita; diritto per quella strada indicata dal Signore e grida sopra i tetti la verità che Dio gli sussurra nell’orecchio. Però ascolta un Dio di perdono, di misericordia, come ha scritto di recente, perché la giustizia da sola non salva nessuno. Del resto proprio il Vangelo della festa di San Matteo che abbiamo appena ascoltato, ci ricorda che il comandamento lasciato dal Maestro è unico: “Amate”. Il terzo sentimento è una viva speranza che ci venga conservato ancora a lungo questo Papa. Perciò la nostra speranza diventa una grazia da implorare con la preghiera accorata, fiduciosa, insistente. Preghiera al Signore, che ha le sue strade misteriose ma sempre paterne. Preghiera alla Vergine Santissima di cui sappiamo molto bene come il Santo Padre sia devoto. Allora, con un pò di confidenza filiale, possiamo fare a LUI il nostro augurio. La prendo da una sua poesia, perché il Papa è anche un poeta; una poesia tutta particolare, asciutta, essenziale. Ha composto un poemetto dal titolo “Ritratti del Cireneo”. Adesso, che sta portando davvero la croce della sofferenza – e ogni croce è un pò quella di Cristo – il poemetto acquista il valore di una profezia. Questa lirica – brevissima – nella quale mettiamo per il Papa un augurio cordiale, dice:
“Allora…arriverà Lui
E passerà il suo giogo
Sulle tue spalle.
Lo sentirai, ti risveglierai, trepiderai”.
Il nostro augurio a Papa Giovanni Paolo II.
PAPA GIOVANNI PAOLO II: NELLA SOFFERENZA IL SEME DELLA SANTITA’
“In un mondo dilaniato da guerre, terrorismo e violenze d’ogni genere, la sofferenza s’incarna nel vicario di Cristo, per rendere più visibile al mondo la forza innovatrice che l’anima. Mai come oggi il Vangelo esprime la sua dimensione umana e divina, lasciando intravvedere quella spiritualità di fede che trasforma e trasfigura le umane debolezze, le prove, in strumenti di santità. Ed è proprio questo il segreto, dimostrare all’uomo che la malattia, il dolore e la sofferenza non sono una maledizione, una negazione, ma semplicemente un fondamentale passaggio di redenzione, di vita nuova, dove l’ansia delle cose terrene diventa visione armonizzatrice di verità e dove tutto si anima di nuove tensioni, nuove conoscenze, nuove certezze. Mentre l’uomo cerca disperatamente di soddisfare la sua brama di temporalità, il Papa venuto dall’Est cammina curvo, fra tremolii di mani e lacerazioni improvvise, lasciando una immagine nitida, luminosa, che non ha bisogno di commenti, perché è l’immagine di Cristo che transita dalla Passione alla Resurrezione, consegnando all’uomo il segreto della felicità. Così il mondo osserva il grande miracolo della religione cattolica, nella fraterna e umanissima immagine di un amico vestito di bianco. Nella sofferenza del Papa l’umanità scopre la bellezza della fede, si rende conto che la malattia compie miracoli straordinari, riduce le sovrastrutture e mette a nudo l’essenza, allarga misteriosamente il pensiero e lo induce a riflettere sulla nostra realtà umana, sul nostro rapporto con la tolleranza, la pazienza, la sopportazione, sulla vita. Giovanni Paolo II dimostra che il male può “costringere” il corpo, la materia, ma non può fare nulla sul piano della comunicazione spirituale che, anzi, dal dolore prende spunto per bellissimi dialoghi e racconti, per riflessioni e redenzioni, per l’inizio di nuove e più vere scenografie”.
(Da Guarire è educare – di Felice Magnani – Nicolini Editore).
Afferma Andrea Riccardi nella sua Biografia di Giovanni Paolo II:
“Il papa aveva descritto nel suo testamento, senza enfasi, lo scopo della sua esistenza con queste parole: “Questa più importante causa alla quale cerco di servire: la salvezza degli uomini, la salvaguardia della famiglia umana, e in essa di tutte le nazioni e dei popoli (tra di essi il cuore si rivolge in modo particolare alla mia Patria terrena), utile per le persone che in modo particolare mi ha affidato, per la questione della Chiesa, per la gloria dello stesso Dio”. La vita di Wojtyla è lunga e ricca di significative vicende. Basterebbero i ventisette anni intensi di pontificato, il più lungo della storia del papato dopo quello di Pio IX (di quasi trentadue anni). Tante vicende ed episodi fanno forse smarrire le linee di fondo, interpretative e conoscitive, della sua storia. I ventisette anni di pontificato sono stati densi…..
…Giovanni Paolo II non ha affrontato le sue responsabilità con un progetto, ma ha voluto fare esperienza della complessità e della vastità del mondo. Karol Wojtyla è uomo dell’esperienza e dell’incontro, filosofo fenomenologico e amante della vita: E’ però l’uomo che, nel vortice di un’esistenza intensa, si fa strada tra segni e cerca di maturare una visione da perseguire. E’ quanto scrive in una poesie risalente agli anni polacchi, quando il futuro del proprio paese era tutt’altro che chiaro. Anche la poesia infatti, oltre che la mistica, aiuta a capire l’esistenza di Giovanni Paolo II. Scrive in alcuni versi, in parte già sopra citati: io credo tuttavia che l’uomo soffra soprattutto per mancanza di <visione>.