15a riflessione dall’Eremo di S. Andrea, 26/04/2021 (h. 18:30)
ATTACCARSI! Ci si attacca, ci s’incolla, a ciò che incontriamo, che ci attrae e diventa importante nella nostra vita e per la nostra vita! Ci si attacca con la “ragione” e con l’“affezione”! Col cuore! Non possiamo più staccarci perché quell’incontro, quella persona, quel fatto è diventato essenziale per la consistenza del nostro “io”!
Un giorno, nel suo cammino verso Gerusalemme – descritto dal Vangelo di Luca al capitolo 17 –, mentre attraversava la Samaria e stava entrando in un villaggio, vennero incontro a Gesù dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza (come prescritto dalle norme! Anche a quell’epoca c’era il “distanziamento”. Non l’abbiamo inventato noi!).
Al tempo di Gesù c’erano tanti lebbrosi e non si conosceva il modo come curare questa malattia mortale e assai contagiosa. Secondo il linguaggio biblico col termine “lebbra” si indicano diverse malattie della pelle, tutte comunque letali, che portavano come conseguenza a sfigurare orribilmente la persona contagiata, tanto che questi infermi venivano equiparati a un morto.
Nel caso del lebbroso, poi, la normativa biblica prescriveva che quelli che ne venivano colpiti dovevano vivere in isolamento, fuori dai centri abitati, fino alla loro completa guarigione (o fino alla morte), perché considerata malattia altamente contagiosa. Il libro del Levitico descrive il modo in cui questi ammalati dovevano vivere:
«Se un uomo o una donna ha sulla pelle del corpo macchie lucide, bianche, il sacerdote le esaminerà… se sulla parte calva del cranio o della fronte appare una piaga bianco-rossastra, è lebbra scoppiata sulla calvizie del cranio o della fronte, il sacerdote lo esaminerà: se riscontra che il tumore della piaga nella parte calva del cranio o della fronte è bianco-rossastro, simile alla lebbra della pelle del corpo, quel tale è un lebbroso; è impuro e lo dovrà dichiarare impuro: il male lo ha colpito. Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto. Velato fino al labbro superiore (la “mascherina” ante litteram…), andrà gridando: “Impuro! Impuro!”. Sarà impuro finché durerà in lui il male, e, impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento» (Lv 13, 38-46).
Immaginiamoci come potevano vivere questi poveracci! In luoghi disabitati, deserti, abbandonati da tutti, anche dai propri cari. Cosa mangiavano? Nessuno si prendeva cura di loro! Contravvenendo alle regole – come nell’episodio narrato dal Vangelo – si mettevano insieme a gruppi per aiutarsi a sopravvivere. Nessuno comunque si sarebbe fatto avanti per importunarli! Incutevano terrore!
Per di più, se tutte le malattie erano ritenute un castigo di Dio, la lebbra veniva ritenuta come il simbolo più appropriato del “peccato”, impresso indelebilmente nella carne! Un marchio d’infamia! I lebbrosi, quindi, a motivo di tutto ciò si sentivano rifiutati dagli uomini e da Dio, maledetti!
Quei dieci lebbrosi, dunque, avvicinandosi a Gesù gridano ad alta voce tutto il loro dolore: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Mi sono sempre domandato: ma, se vanno incontro a Gesù, significa che di sottecchi avevano sentito raccontare dalla gente che Lui era da quelle parti! Se vanno da Gesù, forse, qualcuno di loro ne aveva già sentito parlare, o lo aveva già incontrato… Mah…
«Appena li vide, Gesù disse loro: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”». Il lebbroso, se guariva, doveva andare a presentarsi al Sacerdote del tempio, il solo che poteva dichiarare eventualmente l’avvenuta guarigione e riammetterlo nella Comunità. È un’indicazione chiara del miracolo concesso da Gesù! Infatti, «mentre essi andavano, furono purificati».
E qui arriviamo a quello che ci interessa. «Uno di loro – vedendosi guarito – tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano (uno straniero, un lontano…). Ma Gesù osservò: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”».
L’“attaccamento” non è un meccanismo automatico! Passa inevitabilmente dalla presa di coscienza di ciò che ti è accaduto. Gli altri nove lebbrosi non erano cattivi, ci mancherebbe altro! Ma, immagino, che saranno subito andati a casa dai loro cari ad abbracciarli: giusto… giustissimo!
Quel samaritano, invece, ha un contraccolpo diverso: ha impresso nel cuore lo sguardo di Gesù, la sua parola autorevole, la sua bontà! «Ma io devo tutto a Lui! Ero morto e ora sono tornato in vita! Non posso più vivere senza di Lui! Senza attaccarmi a Lui! Senza stare con Lui! Senza staccarmi da Lui, neanche per un istante!».
«E Gesù gli disse: “Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”». Così, oltre la guarigione fisica, quel samaritano fa l’esperienza del “centuplo” spalancato all’eternità: la salvezza, la fede!
Vostro don Fabio