Fra le 28 formelle di bronzo che verranno posizionate mercoledì e venerdì prossimi (15 e 17 gennaio) nell’ambito delle iniziative per la giornata della Memoria 2020, organizzata dal Comune di Milano e dal Comitato per le pietre d’inciampo, ci sarà anche quella che ricorda il nome di Pio Foà, professore del liceo classico Berchet e successivamente del liceo classico “Cairoli” di Varese, scomparso con due figli nel campo di sterminio di Auschwitz. Verrà posta di fronte alla loro casa, in via Botta 15, dove avevano abitato, prima della denuncia ai fascisti da parte di un collega. Alla delazione era seguito l’ordine di trasferimento prima nel Friuli, poi nella nostra città, dove il suo nome è ricordato nella biblioteca del liceo. La sua storia e la sua tragica odissea fu ricostruita dal professor Francesco Gallina nel numero speciale per il sessantesimo dello stesso Liceo, stampato nel 1995. Di origini ebraiche, insegnante di latino, greco e filosofia, molto amato dai suoi allievi per “la profondità e l’ariosità di quelle lezioni bellissime”, come ricordarono Anita Tibiletti e Cecilia Pedoja che ebbero l’onore di averlo come insegnante. Ma fu una meteora: giunto al Cairoli nel 1937, sparì in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi razziali” che impedivano l’insegnamento nelle scuole statali. E’ stato per lo stimolo delle due ex allieve che Gallina con una ricerca dettagliata è riuscito a ricostruire le vicende successive, di quest’uomo dalla cultura straordinaria. Ne fanno fede i titoli dei suoi tre libri, di cui peraltro non rimane traccia nella biblioteca dell’istituto, nonostante la prassi delle biblioteche scolastiche di acquisire i volumi scritti dai docenti. Cultura classica approfondita la sua e nel contempo rispettosa delle sue origini ebraiche. Pio Foà, cacciato dalle scuole pubbliche, entrò a far parte del corpo docenti di quel centro di cultura straordinario che fu la scuola ebraica di via Eupili a Milano, dove si concentrarono le migliori intelligenze come reazione alla dittatura imperante. Ma la distruzione del tempio e di tutti gli altri centri della comunità milanese, dopo l’8 settembre 1943 con la dominazione tedesca, alleata con i fascisti, costrinse Pio Foà a tentare la fuga in Svizzera con i tre figli. Il 31 ottobre attraverso la zona di Monte Olimpino alle spalle di Como cercò di raggiungere la Svizzera attraverso un percorso di sentieri scoscesi sui quali bisognava usare estrema cautela per non incappare nella Milizia Confinaria di Salò e nelle truppe tedesche della Guardia di frontiera. Intense sono le parole di Gallina alla vista da parte dei tre della rete di confine: “Mancano un centinaio di metri, Il figlio Giorgio di 11 anni si accascia esausto, ha bisogno di un po’ di riposo; il prof. Foà lascia la figlia Enrica con il piccolo, con Anna si accosta alla rete di confine, apre un varco, Anna passa mentre il padre torna indietro, si carica Giorgio sulle spalle e, tenendo per mano Enrica si avvia; dalla boscaglia sbuca una pattuglia – italiani? tedeschi? Che importa! – i tre vengono presi, afferrati mentre Anna, gli occhi sbarrati, trattenuta a stento dai doganieri svizzeri, assiste impotente e fissa nel cuore e nella mente l’ultima immagine del padre e dei fratelli”. Condotti prima a San Vittore, inclusi nel quinto convoglio partirono dal binario 21 della stazione centrale di Milano il 6 dicembre 1943 e giunsero ad Auschwitz il giorno 11: i ragazzi non superarono la selezione e furono immediatamente uccisi, il padre quattro giorni dopo.
Federica Lucchini